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La Sfavillante, Oscura Luce della Regina di Roma

di Aroldo Antonio   Molte persone credono che il "Potere" sia dato, esclusivamente, dalla forza economica o dalla supremazia politico-militare che un determinato soggetto ha a propria disposizione. La Storia, invece, ha spesso dimostrato che tutto ciò non è sempre la verità....

Il fantasma di Francesco Longhi, il marchese bambino

Fumone è un piccolo comune italiano della provincia di Frosinone (Lazio).  Al centro della cittadina si trova il famosoCastello di Fumone, noto perchè nel 1295 vi venne imprigionato papa Celestino V, che aveva abdicato il pontificato per ordine di Bonifacio VIII. Celestino...

Bomarzo

 

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Nel cuore della Tuscia, tra i monti Cimini ed i lago di Bolsena nasce il comune di Bomarzo. Un

piccolo paese non molto differente dai piccoli borghi molisani, ma che racchiude un tetro ed oscuro mistero.

Poco fuori il comune, immerso in un bellissimo anfiteatro naturale sorge il Parco dei Mostri.

 

In questo luogo Nel XVI secolo Vicino Orsini fece costruire alcuni monumenti che raffigurano animali mostruosi e mitiologici, dai tratti inquietanti che sembrano quasi minacciare il visitatore e lo esortano al tempo stesso ad abbandonare quei luoghi ameni…

Statue come "la grotta dell’orco" oppure le "sfingi deformi" poste all’entrata del parco, oppure "i draghi" o la "donna deforme" poste in angoli strategici bta00582.jpgcome a voler ricordare un antico rito esoterico di protezione del territotrio.

 

Vi è addirittura una casa costruita volutamente in maniera inclinata, a voler simboleggiare il mutar del tempo ed il cambiamento dell’uomo e dell’universo.

Vi sono anche messe a monito dei monumenti iscrizioni, che lasciano atterrito il lettore " tu che entri qua con mente parte a parte dimmi se tali maraviglie sien fatte per inganno oppur per arte".

La domanda sorge spontanea, opera del maligno? Oppure scherzo di qualche burlone?. Aneddoti e storie si intrecciano all’interno del Parco dei Mostri, la cronache viterbesi parlano di gente , per lo più tombaroli, che una volta avventuratisi nel parco non hanno mai più fatto ritorno. Oppure che dalla Bocca dell’Orco si aprano portali, che catturano il visitatore portandolo in dimensioni oscure e demoniache.

Altre teorie ci fanno vedere il Parco dei Mostri come una sorta di burla voluta dalla famiglia Orsini contro il Vaticano. Per anni, infatti, Viterbo fu un centro nevralgico per la cristianità perchè propio nel centro laziale venivano eletti papi e cardinali. Ma appunto il mistero aleggia introno la costruzione soprattutto nel nome.bomarzo.jpg

 

Il Parco dei Mostri, infatti, venne chiamato al momento della sua costruzione "Il Bosco sacro", gli architetti che si occuparono della sua costruzione furono Pino Ligorio e Jacopo Barozzi da Vignola, entrambi gli artisti hanno lavorato per il Vaticano per molti anni ricoprendo il ruolo che in passato era di Michelangelo.

Ebbene i due architetti hanno in comune la messa al bando dalle stanze del Santo Uffizio, per avvenimenti dai quali posteriori furono scagionati ( furto di opere d’arte e furto di documenti). I due artisti appartenevano, in realtà, a sette esoteriche che in passato avevano anche tramato contro il Papa.

Alla morte del Principe Orsini nel 1585 la villa rimase in disuso, fin quando non fu restaurata dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini, i quali sono tutt’ora sepolti all’interno del tempietto del parco, come ultimi custodi di un mistero a al quale ancora oggi non si è data risposta.

Burla o mistero? E soprattutto quale segreto nasconde il Parco dei Mostri? Ancora oggi caro lettore all’ arcano mistero non si è data risposta. Alcune teorie dicono che nei meandri del parco dei mostri siano custodite reliquie sacre, altre invece, parlano di sette e riti ancestrali che ancora oggi vi si svolgono. Le cronache viterbesi ci parlano di perosne scomparse e poi riapparse in stato di shock, costrette al ricovero coatto in istututi di sanità mentale.

LE STATUE PARLANTI DI ROMA




Tra i miti e le leggende che popolano Roma non possono mancare le "Statue Parlanti". Le Statue Parlanti hanno molto da raccontare sia nell’immaginario popolare, da cui proviene il loro nome, sia come figure mitologiche; affabulano: sono l’esempio vivente di come un’immagine racconti una storia e ne diventi il simbolo e come tali sono parti di un discorso cominciato tanti anni fa. Si può ripercorrere a ritroso il loro lungo cammino affabulatorio.
Tutto ebbe inizio nel XVI secolo, in una Roma rinascimentale dove il potere e la ricchezza dei cardinali aumentano a dismisura, senza contare dello scempio cui sono soggetti i vecchi edifici romani denudati dei loro marmi per andare ad

arricchire le case dei curiali che dovevano dare bella mostra delle loro ricchezze.Il popolo romano deluso e disilluso utilizza le "statue parlanti" come arma ironica, soprattutto, e dissacratoria, contro il potere teocratico dei papi, il governo e i personaggi più in vista.La satira latina rivisse per bocca delle statue parlanti, alle quali si affiggevano le anonime denuncie politiche e di costume, scritte in versi ed in latino, che presero il nome di pasquinate, dal più illustre di questi personaggi in pietra Pasquino.Le epigrafi in calce alle statue parlanti, antesignane della libertà di stampa, sono l’unico mezzo disponibile per un popolo che, ancora non si può considerare rivoluzionario in quanto impossibilitato o diremo timoroso ad agire, manifesta verbalmente in piazza, luogo pubblico per eccellenza, le angherie e le miserie a cui è sottoposto.Il più "loquace" tra tutte le "statue parlanti" di Roma è Pasquino, numerose raccolte di scritti ed iscrizioni ne hanno tramandato gli acuti epigrammi. Una delle più celebri "pasquinate" è quella diretta al papa Urbano VIII, della famiglia Barberini, che fece togliere al Bernini le parti bronzee del Pantheon per la realizzazione del baldacchino di S.Pietro (1633): quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Dal 1501 Pasquino si trova ad un angolo di palazzo Braschi, alle spalle di piazza Navona, si tratta di un torso di figura maschile, la copia di un originale bronzeo risalente al III secolo a.c., facente parte di un antico gruppo statuario ellenistico, raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo. Ma è così male conservato che dire con certezza chi rappresenti è impossibile, forse un re o un eroe dell'antica Grecia. Non si può dire con sicurezza quale sia l’origine del suo nome, forse il nome di un sarto, di un barbiere o semplicemente di un professore della zona.Un interlocutore di Pasquino è Marforio poiché in alcune delle satire le statue dialogavano tra di loro. Anche in questo caso si tratta di una statua antica. La colossale statua barbuta distesa su un fianco, oggi in piazza del Campidoglio, un tempo era ai piedi del colle Capitolino, raffigura l’Oceano, il Tevere oppure il fiume Nera. Il marmo, risalente al I secolo a.C. fu ritrovato nel Foro Romano vicino ad una conca di granito nei pressi dell’Arco di Settimio Severo. Sulla conca vi era scritto "mare in foro": dalla deformazione di questa iscrizione, per alcuni, deriverebbe il nome di Marforio. Per altri l’etimologia di questo nome deriverebbe dalla famiglia Marioli, che nel XIV secolo risiedeva nei pressi del Carcere Mamertino, oppure trae origine dal Foro di Marte ("Mars Fori"). Tra le Statue Parlanti minori troviamo Madama Lucrezia, una giunonica figura, proveniente da un tempio dedicato a Iside, raffigurante forse una sacerdotessa di questo culto o forse la stessa Iside. Situata in un angolo di Piazza San Marco adiacente Piazza Venezia. Il nome gli deriva da una nobile dama, che visse nel XV secolo, molto conosciuta al suo tempo. Si era innamorata del re di Napoli, il quale era già sposato; per questo motivo Lucrezia venne a Roma per cercare di ottenere dal papa la concessione del divorzio per il sovrano, ma il tentativo fallì. L'anno seguente il re morì; l'ostilità del suo successore costrinse la dama a tornare a Roma, dove abitò appunto presso la suddetta piazza. Altre figure che riuscirono a colpire l’immaginario popolare per il loro aspetto sono: Abate Luigi, Facchino e Babuino.

"FUI DELL'ANTICA ROMA UN CITTADINO/ ORA ABATE LUIGI OGNUN MI CHIAMA/ CONQUISTAI CON MARFORIO E CON PASQUINO/ NELLE SATIRE URBANE ETERNA FAMA/ EBBI OFFESE, DISGRAZIE E SEPOLTURA/ MA QUI VITA NOVELLA E ALFIN SICURA".


Questo è il breve epitaffio, del Tomassetti, sul basamento che sorregge l’Abate Luigi, in piazza Vidoni, non lontano da piazza Navona, sul muro sinistro della chiesa di S.Andrea della Valle. La statua raffigura un uomo con una toga di foggia tardo-romana; il soprannome fu probabilmente ispirato dal sacrestano della vicina chiesa del Sudario, il quale, - secondo la tradizione popolare - rassomigliava molto alla figura scolpita.

Ogni tanto la statua "perdeva la testa" ed infatti, nel 1966, rivolgendosi all'ignoto vandalo che, per l'ennesima volta, le aveva sottratto il capo, la statua così sentenziò (tramite cartelli che le venivano appesi): "O tu che m'arrubasti la capoccia vedi d'ariportalla immantinente sinnò, vôi véde? come fusse gnente me manneno ar Governo. E ciò me scoccia".Veniamo al Facchino, anche se è una piccola fontana che si conserva solo in parte, racchiude in sé curiose leggende. Rappresenta una figura maschile nell'atto di versare acqua da una botte; l'abito indossato dalla figura è il costume tipico della corporazione dei facchini, da cui il nome del personaggio. Si trova in Via Lata, sul fianco sinistro del palazzo De Carolis (oggi noto come palazzo del Banco di Roma). Risale alla seconda metà del XVI secolo, e secondo una tradizione popolare fu ispirata dalla figura di un acquarolo, colui che raccoglieva acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta, a modico prezzo. Nessuno sa chi fosse l'autore della fontana, trattandosi di un'opera pregiata fu attribuita erroneamente a Michelangelo. Si dice che il facchino raffigurato fosse un tal Abbondio Rizio, un robusto e alto facchino che portava il vino nelle case della zona. Arrichitosi per un colpo di fortuna, l'uomo avrebbe voluto far costruire una fontana che lo raffigurasse nel momento del lavoro che egli aveva umilmente compiuto per tanti anni. Un'altra leggenda narra invece che il personaggio scolpito fosse un oste della zona, che per guadagnare di più mescolava il vino che offriva ai suoi avventori con abbondante acqua. Quando morì vide le porte del Paradiso sbarrarsi al suo passo. San Pietro gli disse che la disonestà di cui si era macchiato in vita era un reato gravissimo che avrebbe potuto portarlo perfino all'Inferno. Il taverniere promise di espiare la sua colpa riversando gratuitamente tutta l'acqua che aveva venduto con la truffa. Stando alla leggenda, dopo 400 anni egli deve ancora terminare di pagare il suo debito. Un altro protagonista del "congresso degli arguti" è il Babuino, situata a ridosso della facciata della Chiesa di Sant’Anastasio dei Greci in Via del Babuino. È un’antica statua di sileno adagiata su una vasca di marmo, entrambi di epoca romana. Data la bruttezza della statua, dovuta al ghigno del sileno, il popolo romano la chiamò il Babuino e tale epiteto divenne talmente celebre che determinò il mutamento del toponimo della strada da Via Paolina in Via del Babuino.


Le Statue Parlanti, quelle che un tempo erano portavoce del popolo romano, oggi hanno perso la parola e ridotte al silenzio osservano mute lo scorrere del tempo; avvolte nel loro fascino leggendario, sono la memoria di antiche vicende che hanno arricchito la storia di Roma.




NETTUNO - LA CASA MALEDETTA DI VIA VENETO






A Nettuno, cittadina del litorale romano, giace nascosta tra i palazzi della zona moderna una vecchia casa colonica diroccata. Risalente probabilmente agli anni della bonifica delle Paludi piantine, si tratta dell’unico rudere di Nettuno, centro che dal dopoguerra ad oggi

 

ha visto un intenso sviluppo edilizio e demografico che ha radicalmente mutato le forme di quello che era fino agli anni ’50 un antico e tranquillo borgo medievale marinaro. La casa sorge in una traversa di Via Veneto, circondata da palazzetti anni ’50-‘60 e seminascosta dietro un muraglione in tufo anch’esso semidiruto. Affacciandosi da un malandato ed arrugginito cancello, si può così notare una piccola casetta bianca con tetto sfondato, posta sullo sfondo d’una spianata su cui si intravedono delle profonde cavità. Sotto a quest’area della città infatti si trovano numerosi cunicoli e gallerie scavati in epoche imprecisate (forse delle cantine romane o medievali) e che servirono come rifugio durante i bombardamenti e gli scontri bellici della Seconda guerra mondiale, che investirono duramente Nettuno. Nel Dopoguerra, tutta la zona in questione, allora periferica e lontana dal centro storico, fu interessata da grossi fenomeni di edilizia spontanea e abusiva che diedero vita a costruzioni sorte proprio sulla rete sotterranea di questi tunnel che al tempo si trovavano in aperta campagna. Tutte le case coloniche della zona furono abbattute e al loro posto furono edificati palazzi in cemento, ma questa vecchia casetta rimase, pur abbandonata del tutto. Più tardi, a partire dagli anni ’80, Nettuno era ormai divenuta una cittadina, e la zona non era più periferica, ma la casetta continuava a persistere e sempre disabitata. Più di qualcuno provò ad abitarla, ma ogni volta, misteriosamente, dopo pochi mesi i nuovi inquilini l’abbandonavano. L’ultima volta furono compiuti anche dei lavori di recupero dello spiazzo, per metterlo in sicurezza a causa delle grotte sotterranee, ma presto la copertura in cemento crollò in più punti…: la casa fu quindi abbandonata del tutto, fino a quando divenne, quasi dieci anni fa, nella seconda metà degli anni ’90, un ricovero per un ragazzo straniero sbandato. Questi, tuttavia, morì presto in situazioni oscure: alcuni raccontano che una notte egli venne barbaramente assassinato nella stessa casa, altri dicono di ricordare, invece, che egli addirittura venne bruciato vivo da alcuni balordi e fanatici razzisti in una zona imprecisata di Nettuno, fatto che sarebbe del resto confermato dalla cronaca nera locale di allora.
Ora sono in molti a ritenere questa casa infestata o maledetta, anche se nessuno ama parlarne; anche perché la sua scomoda presenza svaluta sul mercato immobiliare tutte le abitazioni che lo circondano. Il suo effetto visivo, d’altro canto, soprattutto di notte, lascia un senso di profonda inquietudine. Pare che il suo proprietario, vecchissimo, sia ancora in vita ma che egli non voglia per nessuna ragione tornare alla casetta: addirittura si racconta che quando raramente qualche costruttore si fece avanti per comprare il terreno con il rudere, egli non abbia voluto nemmeno acconsentire ad un appuntamento per far vedere la sua proprietà al possibile acquirente. E c’è da dire che da moltissimi anni non campeggia (o non ha mai campeggiato) un cartello di vendita. Forse, sosterrebbero i più fantasiosi, si nasconderebbero nelle viscere di quel terreno strane e maligne creature che non vorrebbero assolutamente che la casa ritornasse ad essere abitata, e che il proprietario lo sospetterebbe o ne sarebbe a conoscenza. Forse, invece, sostengono gli scettici, si sarebbe trattato semplicemente di una lunga serie di coincidenze sfortunate e tragiche. Quel che è certo, però, è che tra pochi anni probabilmente la casetta diverrà "immobile d’interesse storico" e così non potrà essere più demolita, segno di un passato che non ha voluto cedere il passo all’evolversi dei tempi, e forse custode di orribili memorie e segreti che nessuno ha saputo o voluto ancora svelare.



 

La Grotta delle Fate



A ridosso del Monte Schiavone si trova un’insolita grotta naturale scavata e modellata a scalpello nella roccia, non facile da individuare. Sotto l’entrata vi sono una serie di terrazzamenti coltivati che ospitano anche due pozzi.
La porta della grotta è larga 2,50 metri per 2 metri di altezza, ma l'ingresso è ostruito ed è molto arduo accedervi.
Oltre l’entrata vi è un atrio che è stato scalpellato nel tentativo di rendere le pareti regolari, da cui si diramano due cunicoli che potrebbero portare ad altre stanze, mai trovate per la loro inagibilità. Essi infatti si aprono larghi per ridursi a piccoli vani chiusi. Mancanza di fondi ed investimenti per gli scavi hanno lasciato la grotta in un inevitabile e deleterio abbandono.

 Sul lato sinistro è presente un’enigmatica vasca votiva scavata in un unico blocco di marmo di 2,15 metri di lunghezza per 1,15 di larghezza e 0,90 metri di profondità. La forma di questo monumento è perfettamente squadrata ed è proprio da qui che si avviano i nostri enigmatici interrogativi.

La vasca comprende:
- un incavo sul lato breve dal chiaro richiamo di sedile o poggiatesta
- 4 scanalature sui lati lunghi per l'appoggio di sbarre o di un coperchio
- 2 forme per contenere due "cerniere"
- un foro per contenere un presunto cero o torcia
- una croce sicuramente postuma

L’ipotesi della Tomba

Questa "vasca" dai lineamenti regolari, è stata ipotizzata come un sarcofago entro il quale si presume fosse stato deposto il cadavere. Vi è la presenza di un piccolo avvallamento identificato come poggiatesta e di alcuni incastri per l'appoggio di una lastra di chiusura.

Sicuramente non di fattura romana per la sua struttura unica nel suo genere, è stato ipotizzato che risalga all'VIII secolo a.C., epoca in cui la zona sarebbe stata abitata dal popolo degli OSCO-SABELLI che avrebbero costruito questo "sepolcro" ad imitazione di quelli etruschi. Molti popoli ricreavano nella tomba l’ambiente quotidiano della capanna, non solo riempiendolo di utensili, ma scolpendo la roccia a imitazione della propria casa, credendo così nel risveglio del defunto dopo la morte.

 

La correlazione con le "Domus de Janas" sarde
Ricreare l'ambiente familiare all'interno della tomba era il rituale non solo degli etruschi ma anche del popolo sardo, ad avvalorarlo sono le famose Domus de Janas, guarda caso traduzione in sardo di "Case delle fate". Questa è una coincidenza davvero incredibile che collegherebbe questa grotta anche con la Sardegna. Altra "chicca" è la similitudine di Janas con "contrada Jagna" nome dell'area in cui si trova il sito.

La parola domus de janas (=casa delle fate) deriva direttamente dall’immaginario collettivo sardo che, persa memoria della loro funzione originaria, si credeva fossero abitate da streghe, fate e gnomi. Il toponimo Domus de Janas proviene anche dalla dea Diana, la dea della caccia, alla quale sono legate diverse leggende che narrano di ninfe che appaiono all'interno di grotte fatate.


Inoltre nelle Domus l’interno mantiene l’aspetto delle coeve abitazioni: architravi, stipiti, pilastri di sostegno laterale e zoccolatura perimetrale, affinchè il defunto potesse ritrovare al "risveglio" il calore di casa e non si sentisse perso nel buio dell'aldilà.
Si credeva insomma, già allora, in una sorta di resurrezione, proprio come il popolo egizio, la cui similitudine è sorprendente.


Tutto questo pone un profondo interrogativo... è un caso che due tombe rupestri abbiano lo stesso nome a distanze così elevate o vi è una precisa divulgazione culturale attraverso questi luoghi archeologici? La nostra curiosità è inoltre alimentata dal fatto che altri luoghi del nostro paese hanno nomi simili, un esempio è il mitreo presente sotto il castello di Angera, dal nome di "Porta delle Fate" e nella stessa lunigiana e ad Alatri si trovano altre "Grotte delle Fate".
Si presume che anche questa tomba, come alcune domus, fosse il sepolcro di una persona importante, un capo tribù, in primo luogo per l'impegno fisico e di calcolo nel costruirla, trattamento riservato non a persone qualunque.


Il monumento ha anche un'altra chiave di lettura, sicuramente più interessante di quella precedente. Esso è stato visto come una vasca votiva, ipotesi più veritiera per divertsi importanti particolari. Primo fra tutti la presenza di una scanalatura della roccia lungo tutta la parete dell’atrio che serviva molto probabilmente a portare l’acqua verso una spaccatura nella parete di sinistra, fin dentro la vasca.

L'incavo sul lato breve che abbiamo visto come "poggiatesta" diventa in questo caso un sedile, funzione più veritiera dato che nessun uomo potrebbe appoggiarvisi la testa essendo rialzato dal fondo della vasca di 40 cm. Le quattro scanalature sui lati lunghi potevano contenere delle sbarre o un coperchio ormai scomparso che poteva fungere da altare "contenitore di acqua" elemento sacro per ogni forma di rituale antico. Un’acqua sacra perchè estratta direttamente dalla montagna, dalla Madre Terra, che sarebbe giunta con trasporto capillare fin direttamente alla vasca, un utero simbolico, al cui interno ci si immergeva per rinascere a nuova vita. Viene considerato il luogo di culto della DEA MARICA venerata dagli AURUNCI, a 18 km di distanza ci sono i resti del tempio alle foci del GARIGLIANO.

Inoltre le due scanalature sul lato esterno sembrerebbero due cerniere per far scorrere il presunto coperchio, ipotesi però da scartare, essendo le cerniere sul lato "aperto", cosa che renderebbe impossibile e quantomeno scomoda l'apertura dell'altare.Vi è anche un foro che poteva fungere da porta-candela o torcia per illuminare l’altare e i presunti rituali.

A 150 metri a sud della grotta vi sono alcuni muri perimetrali romani, presumibilmente altri templi con oggetti fittili sparsi per queste zone.

mitreo la madonna del parto


Lungo la Cassia, prima del lago di Bracciano, è possibile incontrare un paese dal nome esotico, Sutri. I pellegrini, ormai non lontani da Roma, "sfrecciavano" lungo la Francigena come delle Bugatti revisionate. Ma molti secoli prima di loro, negli stessi luoghi, gli etruschi costruivano Templi favolosi in onore ad altri Dei.

 

Proprio all'interno di una enorme tomba etrusca si trova uno dei Mitrei più belli d'Italia. Il Cristianesimo, in seguito prese possesso delle aree sacre pagane per riconvertirle in chiese cristiane e mantenere la stessa energia. Ad oggi il mitreo è affrescato con immagini cristiane ed è dedicato alla Madonna del Parto.


Solitamente gli altari seppur pagani venivano utilizzati per i misteri eucaristici, come nel caso di questo mitreo, in cui è presente l'altare sacrificare del toro mitraico, identificato come tale dalle canaline di scolo del sangue e dunque riservato ai sacrifici. Inoltre è stato trovato un rilievo del dio Mitra, ulteriore testimonianza del riutilizzo del luogo sacro da pagano a cristiano.

 

Sono presenti molti affreschi in cui è visibile la Madonna con i santi, San Cristoforo (uno dei santi più antichi) e la leggenda di San Michele del Gargano. Uno particolare presente sul soffitto della navata centrale, dovrebbe rappresentare San Michele (a cui fu dedicato il tempio prima della consacrazione alla MAdonna del Parto). Mi ricorda un antico sacerdote etrusco rimasto nascosto nel tempo, che ancora oggi veglierebbe il misterioso ipogeo.

 

La conformazione a tre navate con sedute laterali e colonne suggeriscono l'aspetto di una chiesa cristiana delle origini quando la diffusione del culto doveva avvenire di nascosto. La chiesa, scavata nel tufo è stata datata comunque in periodo più tardo, dal XIII al XIV secolo, mentre il mitreo vero e proprio risale al I secolo d.C.
Sull'ultima colonna a destra è presente una croce patente, rossa e un fantastico pesce di matrice essena.

Un ipogeo che attira l'attenzione e la curiosità di studiosi da tutto il mondo, un insieme di storie, culture e tipologie costruttive.