Tutto è successo esattamente 110 anni fa, nel primo giorno della guerra russo-giapponese, iniziata con l’epopea dell'incrociatore Varyag. I marinai a bordo preferirono affondare l’imbarcazione piuttosto che arrendersi al nemico. L’impresa eroica dell’equipaggio scosse il mondo, alimentando canzoni e libri. In Russia, attorno all'incrociatore si è creato un vero e proprio mito patriottico che sopravvive ancora oggi. La vera storia della nave, tuttavia, non è meno eroica e sorprendente del mito.

La nascita di una leggenda

La vita del Varyag ebbe inizio in un cantiere navale di Philadelphia agli albori del XX secolo. L’imbarcazione abbandonò lo scalo di costruzione accompagnata dalla musica di un’orchestra e dagli “evviva” di 565 marinai esultanti. Quando gli ingegneri americani scoprirono che la nave sarebbe stata battezzata con l'acqua santa, si strinsero nelle spalle e stapparono la bottiglia di champagne che, secondo la tradizione americana, si sarebbe dovuta rompere contro lo scafo. Nessuno – né i russi, né tantomeno gli americani – potevano immaginare che stavano assistendo alla nascita di una leggenda della flotta russaQuasi subito dopo il varo iniziarono a manifestarsi i primi malfunzionamenti. Il primo a rompersi fu il cilindro della dinamo della nave. Tuttavia le avarie e i guasti accompagneranno l’incrociatore durante tutta la sua storia. I meccanici non facevano in tempo a riparare un guasto che qualcosa di nuovo si rompeva o saltava via. Nonostante tutto, il Varyag venne inviato in Corea.

Il Varyag (Foto: DPA / Vostock Photo)

La nave difettosa arrivò nella baia di Chemulpo per i negoziati sulla neutralità della Corea. Nel porto erano attraccate anche le navi di Gran Bretagna, Italia, Germania, Giappone, Francia e Stati Uniti. La mattina del 27 gennaio 1904 l’ammiraglio Uryu inviò al capitano del Varyag il seguente ultimatum: "A seguito dello scoppio delle ostilità tra Russia e Giappone, dovrà abbandonare, entro mezzogiorno, la baia di Chemulpo assieme a tutte le truppe che rispondono al suo comando. In caso contrario, apriremo il fuoco”.

Gli storici ritengono che Rudnev avrebbe dovuto approfittare dell’offerta, che gli avrebbe permesso di raggiungere la Russia attraverso acque neutrali.

Il Varyag, persino con i motori danneggiati, superava di 3-5 nodi la velocità delle navi giapponesi. Inoltre, era impensabile intraprendere uno scontro in mare: lo scafo dell’incrociatore non era blindato e in termini di potenza di fuoco era molto più debole rispetto alle navi giapponesi.

Vi era anche un’altra possibilità. Il capitano Bailey offrì al Varyag di passare sotto la bandiera britannica come "imbarcazione inadatta a partecipare ad azioni militari". Rudnev prese, tuttavia, un’altra decisione: quella di dare battaglia. Gli artiglieri del Varyag erano considerati, non invano, i migliori della squadra del Pacifico: affondarono almeno tre incrociatori giapponesi e un cacciatorpediniere. Ma le forze erano, in ogni caso, chiaramente sbilanciate. Quasi la metà delle armi del Varyag erano obsolete e la nave imbarcava acqua. La coperta era rotta in molti punti, ricoperta di sangue e disseminata di cadaveri. Le scialuppe di metallo perforate mentre quelle di legno bruciate. La sala macchine non funzionava mentre il timone non rispondeva. Dopo una breve riunione con gli ufficiali, Rudnev decise che avrebbe preferito morire piuttosto che consegnarsi al nemico, e ordinò di far affondare la nave, che venne così inghiottita dalle acque. Il Varyag si chinò sul fianco sinistro e si inabissò scomparendo nelle fredde acque del golfo.

L’equipaggio del Varyag (Foto: Itar Tass)

Gli storici ritengono che Rudnev non valutò bene la situazione e fece affondare una nave che era assolutamente in grado di affrontare un combattimento. In poche parole, la servì su un piatto d’argento alla flotta giapponese. Recuperata dal nemico, fu, infatti, ricostruita e navigò nella flotta nipponica per ben 11 anni, sotto il nome di “Sōya”.

La sorte dei marinai

Le vittime del Varyag furono, in totale, 108 uomini: vale a dire un quinto di tutto l’equipaggio dell’incrociatore. I feriti vennero accolti a bordo di navi straniere, mentre i giapponesi liberarono i prigionieri in cambio della promessa che non avrebbero partecipato ad altre azioni di guerra. Il popolo nipponico era rimasto davvero impressionato dal comportamento, degno di un samurai, dimostrato dai russi. Nessuno dei marinai, tuttavia, interpretò la vicenda come un atto eroico. Anzi, al contrario. Il tenente maggiore era convinto che sia lui che Rudnev si meritassero di essere processati per aver causato l’affondamento del Varyag. Tuttavia, c’era una guerra in corso e per sollevare gli animi delle truppe si richiedeva un simbolo di eroismo e invincibilità dell'esercito russo. Fu questo il ruolo che, in sostanza, svolse il Varyag nel conflitto russo-giapponese. E fu allora che risuonarono anche le prime canzoni che trasformarono il Varyag in una leggenda.

 

Sotto un’altra bandiera

Dieci anni dopo, quando le relazioni tra Russia e Giappone vennero ristabilite, il Varyag venne riacquistato e tornò a navigare sotto la bandiera russa. In qualità di unità militare, tuttavia, l’incrociatore si scontrò con una serie di critiche: andava riparato, giacché nello stato in cui versava, risultava inutile per la flotta russa. Si decise così di farlo riaggiustare in un cantiere inglese. Di lì a poco iniziò la Rivoluzione russa e l’incrociatore iniziò lentamente a svuotarsi. Metà dell'equipaggio venne richiamato in patria. Sull’imbarcazione rimasero, in tutto, solo otto marinai, il nostromo e il sottufficiale. I tecnici portuali di Liverpool si rifiutavano di riparare il Varyag perché sostenevano che i bolscevichi non avevano i soldi necessari a pagare le riparazioni. Alla fine, gli inglesi ne approfittarono per disarmare completamente l’incrociatore: si presero le munizioni per rifornire l’arsenale di terra e i cannoni, smontando quelli tripli.

 


Cambiarono la sala radio, ammainarono la bandiera della flotta russa e issarono il leone britannico. L’Inghilterra, tuttavia, non aveva bisogno di un incrociatore nella sua flotta e lo vendette ai tedeschi, come se fosse un mucchio di rottami. Diretto in Germania, il Varyag rimase incagliato in una roccia. Fu quindi fatto a pezzi e trasportato su chiatte. Tutto venne fatto in fretta e con noncuranza. Lo scafo del Varyag venne lasciato sul fondo del mare, dove vi rimase per più di 80 anni. Fu proprio lì, nel Mare d'Irlanda, che, nell’estate del 2003, venne rinvenuto dalle telecamere del canale televisivo Rossiya. Il solido metallo con cui era stato costruito, si era conservato intatto durante tutti quegli anni
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