Erano le 20:59 del 27 giugno 1980 quando un aereo DC9 della compagnia Itaviascompariva dagli schermi radar del Centro di controllo di Roma Ciampino.
Il racconto
Il velivolo con a bordo 77 passeggeri, tutti di nazionalità italiana, e 4 membri dell’equipaggio, era decollato con due ore di ritardo, 51 minuti prima, dall’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna; alle ore 21:13 sarebbe dovuto atterrare allo scalo siciliano di Palermo Punta Raisi. L’ultima "battuta" registrata dai radar è sul mar Tirreno, a nord dell’isola di Ustica, nel punto "Condor" delle carte aeronautiche. L’aereo è precipitato per cause sconosciute nel Mar Tirreno. Alle ore 11:25 del giorno dopo, 28 giugno 1980, l’incrociatore lanciamissili Andrea Doria della Marina Militare recupera i primi corpi dei passeggeri: verranno ritrovati soltanto 39 cadaveri su 81.L’inchiesta. Le indagini vennero avviate immediatamente in contemporanea dalla magistratura e dal ministro dei Trasporti Rino Formica che nominò una Commissione d’inchiesta alla cui guida viene chiamato il direttore dell’aeroporto di Alghero, Carlo Luzzatti, che però non concluse mai i suoi compiti, visto che, dopo aver presentato due relazioni preliminari, decise per l’autoscioglimento nel 1982 a causa di insanabili contrasti di attribuzioni con le procure di Palermo, Roma e Bologna. Il Ministero dei trasporti finì con l’adeguarsi alla tesi prevalente, che l’aereo era precipitato per un cedimento strutturale dovuto alla cattiva manutenzione e nel dicembre del 1980 revocò all’Itavia, già in gravi condizioni finanziarie, le concessioni per l’esercizio dell’attività, su rinuncia della stessa compagnia aerea. Dal 1982 l’indagine divenne, di fatto, di esclusiva competenza della magistratura, nella persona del giudice istruttore Bucarelli. Il recupero del relitto
Il DC-9 venne recuperato soltanto nel 1987, quando l’allora ministro del TesoroGiuliano Amato stanziò i fondi per il recupero del relitto del DC-9, che giaceva in fondo al mar Tirreno. La profondità di 3700 metri alla quale si trovava il relitto rendeva complesse e costose le operazioni di localizzazione e recupero. Due distinte campagne di recupero, nel 1987 e nel 1991, consentirono di riportare in superficie circa il 96% di ciò che rimaneva del velivolo ricomposto in un hangar dell’aeroporto di Pratica di Mare, dove è rimasto a disposizione della magistratura per le indagini fino al 5 giugno 2006, data in cui è stato trasferito e sistemato, grazie al contributo dei Vigili del Fuoco di Roma, nel Museo della Memoria, approntato appositamente a Bologna.
Le ipotesi
Nel tardo pomeriggio del 28 giugno si diffondono le prime ipotesi sulla caduta dell’aereo: cedimento strutturale, improvvisa anomalia nei valori di pressurizzazione o collisione in volo.
Il generale Saverio Rana, presidente del Registro aeronautico italiano, mostrerà una fotocopia di un tracciato radar al ministro Formica da cui emerge che il DC9 ha avuto un impatto con un missile, un meteorite o con un altro oggetto. Il primo ad avvalorare questa tesi fu un esperto americano del National Transportation Safety Board, John Macidull: analizzando il tracciato radar di Ciampino, affermò che al momento del disastro, accanto al DC9 volava un altro aereo. Il velivolo dell’Itavia sarebbe stato quindi, secondo Macidull colpito da un missile lanciato da un mezzo aereo non identificato rilevato nelle vicinanze e che attraversava la zona dell’incidente da Ovest verso Est a velocità supersonica approssimativamente nello stesso momento in cui si verificava l’incidente.
Nel corso degli anni la tesi di Macidull relativa alla presenza di un’intensa attività internazionale sul cielo del Mar Tirreno ha trovato fondamento sebbene dagli enti militari, nazionali e alleati, sino ai primi anni novanta non fosse mai giunta alcuna segnalazione di anomalie (che pure è stato ipotizzato possano essere state occultate), né sul relitto sia mai stato trovato alcun frammento di missile, ma soltanto tracce di esplosivo. L’ipotesi più avvalorata, infatti, afferma che intorno al DC-9 si sarebbe determinato un vero e proprio scenario di guerra aerea: testimonianze emerse nel 2013 confermerebbero la presenza di aerei militari e navi portaerei. A sostegno di questa ipotesi alcune prove prodotte da registri e nastri non occultabili e non distrutti come il tracciato radar di Fiumicino del 27 giugno 1980 (dalle ore 20,58 alle 21,02).
I dati di volo distrutti e recuperati da altre fonti nazionali e internazionali (e ora visibili negli atti della magistratura, in particolare nella requisitoria dei Pm della Procura di Roma) e l’allarme generale della difesa aerea lanciato da due piloti dell’aeronautica militare italiana potrebbero confermare la tesi accusatoria di Macidull: l’aereo DC-9 Itavia del volo IH870, attorno al quale volavano almeno tre aerei dei quali uno a velocità supersonica, è stato abbattuto.
Il processo
Il processo su cause e autori della strage in realtà non si è mai potuto svolgere poiché l’istruttoria relativa definì "ignoti gli autori della strage". Il reato di strage, però, non cade in prescrizione per cui, se dovessero emergere nuovi elementi relativi, un eventuale processo potrebbe essere ancora condotto.
Vi è stato, però, un processo complementare sui fatti di Ustica, per la parte riguardante i reati di depistaggio, imputati a carico di alti ufficiali dell’aeronautica militare italiana, definitivamente conclusosi in Cassazione il 22 ottobre del 2013, giorno in cui la Suprema corte ha definitivamente accertato un depistaggio nelle indagini Uno dei più oscuri misteri italiani, la strage di Ustica. L’aereo Boeing DC-9 della compagnia Itavia che cadde nelle acque vicine all’isola siciliana il 27 giugno 1980, provocando la morte delle 81 persone a bordo, ha attirato su di sè decenni dipolemiche, bugie, silenzi e accuse. Lo scorso gennaio la Cassazione stabilì definitivamente che il velivolo venne abbattuto da un missile sparato da aereo ignoto, condannando lo Stato italiano a risarcire le famiglie delle vittime per non aver garantito la sicurezza del proprio spazio aereo, com’è suo dovere istituzionale. Venne così smentita la tesi dell’esplosione interna del DC-9.
Oggi, 22 ottobre, la Suprema corte ha emesso il corollario naturale alla prima sentenza. Ha infatti stabilito che è definitivamente accertato un depistaggio nelle indagini. La Cassazione ha quindi accolto il ricorso degli eredi di Aldo Davanzali, proprietario della compagnia Itavia, fallita sei mesi dopo quel disastro. Il ricorso era stato presentato contro la sentenza della Corte d’appello di Roma; il giudice di secondo grado aveva bocciato la richiesta di risarcimento danni avanzata dai Davanzali contro lo Stato, escludendo l’efficacia dell’eventuale attività di depistaggio sul dissesto finanziario della compagnia avvenuto in seguito.
La Cassazione ha disposto la celebrazione di un nuovo processo civile per accertare la responsabilità dello Stato nei confronti del fallimento dell’Itavia.
Condanne
Il 10 settembre 2011 una sentenza emessa dal giudice civile Paola Proto Pisani, ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti, condannati per non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro (il tribunale ha stabilito che il cielo di Ustica non era controllato a sufficienza dai radar italiani, militari e civili e che quindi non fu garantita la sicurezza del volo e dei suoi occupanti) e per aver ostacolato l’accertamento dei fatti, al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di 42 familiari delle vittime della Strage di Ustica.