Via Cruoccolo è una delle più fatiscenti vie del più fatiscente quartiere di Napoli. L'area fu dichiarata "non edificabile" da un Regio Decreto del 1889, "in quanto" - così si legge negli atti ufficiali - "costituita da terreno palustre, fortemente friabile, soggetta a eventuali smottamenti e assediata notte e dì da turbini di zanzare di proporzioni inaudite, con puzzo cadaverico che erompe dal basso 'sì greve da non poter distogliere non foss'altro che per poco il fazzoletto dal naso".
Il decreto trovò applicazione per più di un cinquantennio, ma subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale un valoroso pugno di imprenditori edili s'assunse l'onere di rischiare la galera pur di dare un tetto alle turbe di sfollati delle zone circostanti e ai sopravvissuti dei bombardamenti alleati sulla Campania.
Dieci anni dopo, un insperato condono edilizio aprì le porte alla costruzione di un vero e proprio quartiere popolare, per il quale fu affidato opportuno appalto a una società di costruzioni che vantava fra i suoi dipendenti un brillante architetto di nome Gennaro Biscazzuolo, uomo dai mille segreti, la cui figura è avvolta ancor oggi da impenetrabili ombre, perfino allo sguardo dei più arditi biografi.
Di recente data è la teoria secondo cui questo signore avrebbe fatto parte in giovane età della Massoneria, essendo stato il più intimo compagno di merende di un certo Peppiniello Loscorbuto, detto "O scorbutico", titolare di una pizzeria, che affermava di parlare abitualmente con lo spirito del Conte di Cagliostro e di essere l'unico napoletano a saper fare la vera pizza "Cagliostro", con gli ingredienti suggeriti in prima persona dall'insigne mago siciliano.
Espulso in seconda elementare per insubordinazione, il Biscazzuolo visse di espedienti fino a trentacinque anni, età in cui riuscì ad aprire uno studio tecnico di ingegnere, pur sapendo a malapena leggere e scrivere (sulla targhetta c'era scritto "ingegnier Biscazuolo").
Suo sarà il progetto di una delle tante palazzine popolar-abusive di via Cruoccolo, a prima vista uguale alle altre, brutta come il peccato, ma con mille segreti ancora da svelare.
Anzitutto il numero civico: 71 (invertendo l'ordine delle cifre si ottiene un inquietante 17!).
E poi, soprattutto, il destino infausto delle povere famiglie che hanno avuto la sventura di abitarla, come se una maledizione ne avesse segnato inesorabilmente la presa in possesso: nel 1954, dopo otto anni dal termine dei lavori, il primogenito dei coniugi Di Capua del primo piano si ammalò di tifo, e morì pochi mesi dopo che la malattia gli fu diagnosticata; tre anni più tardi, un'intera famiglia composta da padre, madre e figlioletto di sei anni fu falcidiata dalla tubercolosi (da notare come all'epoca dei fatti sia il tifo che la tubercolosi fossero state da tempo debellate dalla medicina grazie ai relativi vaccini); nel 1963 al quarto piano una stufa a gas esplose senza apparente motivo. L'intero mobilio dell'appartamento, composto da un tavolo, due sedie e il letto nuziale andò distrutto. Poco prima c'era stato anche un pignoramento; dal 1975 al 1978 lo scantinato si allagò per tre volte; infine, dodici anni fa, nel corso di una assemblea condominiale, scoppiò una violenta lite fra condomini. Furono sguainati i coltelli, e tre dei contendenti finirono in ospedale. Uno di loro restò per il resto della vita con l' indice della mano destra storto. La lugubre figura del Biscazzuolo venne richiamata ogni qual volta accadeva una sciagura. Il finto architetto morì solo tre anni più tardi il compimento dei lavori, ma a tutti pareva che il suo respiro aleggiasse ancora entro ogni anfratto dello stabile. Era opinione comune, infatti, che tra la creatura in cemento e il suo artefice si fosse creato un autentico rapporto di simbiosi, un'identificazione metafisica fra artista e opera, concepita quest'ultima come una sorta di prolungamento di sé. Molti osservatori hanno notato sconcertanti coincidenze riguardanti l'orientamento e le dimensioni della casa. Due dei suoi lati puntano infatti dritto dritto verso la piana di Giza, con un margine d'errore di appena 35" e 6', mentre gli altri due si proiettano nella direzione delle Ande peruviane, entro il cui arco sappiamo trovarsi le rovine di Macchupicchu. La sua altezza è di 19 metri, mentre le basi ne misurano rispettivamente 34 e 29.
Sommando i tre numeri si ottiene l'anno della mitica vittoria dell'Italia ai mondiali di calcio.
Difficili da ignorare, inoltre, talune iscrizioni risalenti, ma ancora visibili nell'atrio d'ingresso e nello scantinato, di chiara impronta profetica, tra le quali le due più significative "Forza Italia" e "Letizia è bonazza!" non nascondono sinistre allusioni alle vicende politiche dei nostri giorni. La casa è stata messa da due anni sotto sequestro per inagibilità, ma i sigilli vengono regolarmente violati da curiosi e giornalisti specializzati. Chi ha avuto il coraggio di passarci la notte racconta di aver sentito un fremito scorrere lungo le membra e di aver sofferto di forti giramenti di testa. Gli esperti ipotizzano che la casa sorga esattamente nel fulcro di un reticolo magnetico platenario caratterizzato da una immensa concentrazione di energia. Alcuni ricercatori dell'Università di Bologna hanno presentato alle autorità una richiesta per condurre in loco approfonditi esperimenti.
Ma non sono solo i cacciatori di misteri ad abitare il numero 71 di via Cruoccolo. Al primo piano si svolgono settimanalmente regolari messe nere. Per i satanisti interessati, gli incontri sono fissati per tutti i venerdì di ogni mese esclusi luglio e agosto dalle 19.00 alle 21.00. Il secondo piano è la sede ufficiale della "Setta dei poeti estinti" della Facoltà di Lettere dell'Università di Napoli. Al terzo piano abita la famiglia Esposito.
Via Cruoccolo è una delle più fatiscenti vie del più fatiscente quartiere di Napoli. L'area fu dichiarata "non edificabile" da un Regio Decreto del 1889, "in quanto" - così si legge negli atti ufficiali - "costituita da terreno palustre, fortemente friabile, soggetta a eventuali smottamenti e assediata notte e dì da turbini di zanzare di proporzioni inaudite, con puzzo cadaverico che erompe dal basso 'sì greve da non poter distogliere non foss'altro che per poco il fazzoletto dal naso". Il decreto trovò applicazione per più di un cinquantennio, ma subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale un valoroso pugno di imprenditori edili s'assunse l'onere di rischiare la galera pur di dare un tetto alle turbe di sfollati delle zone circostanti e ai sopravvissuti dei bombardamenti alleati sulla Campania. Dieci anni dopo, un insperato condono edilizio aprì le porte alla costruzione di un vero e proprio quartiere popolare, per il quale fu affidato opportuno appalto a una società di costruzioni che vantava fra i suoi dipendenti un brillante architetto di nome Gennaro Biscazzuolo, uomo dai mille segreti, la cui figura è avvolta ancor oggi da impenetrabili ombre, perfino allo sguardo dei più arditi biografi.
l'unico napoletano a saper fare la vera pizza "Cagliostro", con gli ingredienti suggeriti in prima persona dall'insigne mago siciliano. Espulso in seconda elementare per insubordinazione, il Biscazzuolo visse di espedienti fino a trentacinque anni, età in cui riuscì ad aprire uno studio tecnico di ingegnere, pur sapendo a malapena leggere e scrivere (sulla targhetta c'era scritto "ingegnier Biscazuolo"). Suo sarà il progetto di una delle tante palazzine popolar-abusive di via Cruoccolo, a prima vista uguale alle altre, brutta come il peccato, ma con mille segreti ancora da svelare. Anzitutto il numero civico: 71 (invertendo l'ordine delle cifre si ottiene un inquietante 17!). E poi, soprattutto, il destino infausto delle povere famiglie che hanno avuto la sventura di abitarla, come se una maledizione ne avesse segnato inesorabilmente la presa in possesso: nel 1954, dopo otto anni dal termine dei lavori, il primogenito dei coniugi Di Capua del primo piano si ammalò di tifo, e morì pochi mesi dopo che la malattia gli fu diagnosticata; tre anni più tardi, un'intera famiglia composta da padre, madre e figlioletto di sei anni fu falcidiata dalla tubercolosi (da notare come all'epoca dei fatti sia il tifo che la tubercolosi fossero state da tempo debellate dalla medicina grazie ai relativi vaccini); nel 1963 al quarto piano una stufa a gas esplose senza apparente motivo. L'intero mobilio dell'appartamento, composto da un tavolo, due sedie e il letto nuziale andò distrutto. Poco prima c'era stato anche un pignoramento; dal 1975 al 1978 lo scantinato si allagò per tre volte; infine, dodici anni fa, nel corso di una assemblea condominiale, scoppiò una violenta lite fra condomini. Furono sguainati i coltelli, e tre dei contendenti finirono in ospedale. Uno di loro restò per il resto della vita con l' indice della mano destra storto. La lugubre figura del Biscazzuolo venne richiamata ogni qual volta accadeva una sciagura. Il finto architetto morì solo tre anni più tardi il compimento dei lavori, ma a tutti pareva che il suo respiro aleggiasse ancora entro ogni anfratto dello stabile. Era opinione comune, infatti, che tra la creatura in cemento e il suo artefice si fosse creato un autentico rapporto di simbiosi, un'identificazione metafisica fra artista e opera, concepita quest'ultima come una sorta di prolungamento di sé. Molti osservatori hanno notato sconcertanti coincidenze riguardanti l'orientamento e le dimensioni della casa. Due dei suoi lati puntano infatti dritto dritto verso la piana di Giza, con un margine d'errore di appena 35" e 6', mentre gli altri due si proiettano nella direzione delle Ande peruviane, entro il cui arco sappiamo trovarsi le rovine di Macchupicchu. La sua altezza è di 19 metri, mentre le basi ne misurano rispettivamente 34 e 29. Sommando i tre Peristilio
La Villa dei Misteri, chiamata in un primo momento Villa Item fu portata alla luce tra il 1909 e il 1910 grazie ad uno scavo condotto dalla stesso proprietario del terreno nel quale si trovava; un'indagine più approfondita venne svolta tra il 1929 e il 1930, in seguito all'esproprio imposto dallo stato. Nel 1931 furono rese pubbliche alcune tavole a colori che rappresentavano gli affreschi della villa, ad opera dell'archeologo Amedeo Maiuri: ad oggi lo scavo non è stato ancora completato, anche se la piccola parte di costruzione che manca, secondo gli archeologi, non contiene elementi di valore. Durante lo scavo non furono ritrovati oggetti di particolare interesse e soprattutto la zona d'otium apparve quasi priva di suppellettili, segno che la villa era in ristrutturazione; reperti invece furono ritrovati nella parte rustica: nella villa fu inoltre rinvenuta la statua di Livia in abiti da sacerdotessa, oggi conservata all'Antiquarium di Pompei e vennero alla luce anche numerosi resti umani. La villa fu costruita nel II secolo a.C. ed ebbe il periodo di massimo splendore durante l': nel corso del suo sviluppo fu notevolmente ampliata ed abbellita. Si trattava originariamente di una villa d'otium dotata di ampie sale e giardini pensili, in una posizione panoramica, a pochi passi dal mare, ma in seguito al terremoto del 62 d.C. cadde in rovina, così come il resto della città, e fu trasformata in villa rustica con l'aggiunta di diversi ambienti ed attrezzi agricoli come torchi per la spremitura dell': la costruzione fu infatti adibita alla produzione e alla vendita del . Della villa non si conosce il proprietario, ma solo il nome del custode che l'ha abitata durante l'età augustea, Lucio Istacidio Zosimo, come testimoniato da un .
Scena della catechesi
La villa è a pianta quadrata e si trova su una collinetta dalla quale si godeva una meravigliosa vista sull'odierno ; poggia in parte su un terrapieno ed in parte è sostenuta da un , formato da arcate cieche ed utilizzato come deposito. L'ingresso principale, in parte ancora da scavare, si trova lungo una via secondaria che forse si collegava alla via delle Tombe; nella zona dell'ingresso è posto il quartiere rustico e servile con diversi ambienti adibiti a panificio, cucine, forno, torchio con il tronco a testa d'ariete e cella per i vini. Superato un piccolo ingresso, quattro stanze che rappresentano il cuore della zona signorile: si tratta del peristilio a sedici colonne, costruito tra il 90 e il , l'atrio maggiore, senza colonne e decorato con paesaggi nilotici, il tablino ed una veranda absidata con vista mare, creata nel , da cui oggi si entra.
Ai lati di queste stanze si sviluppano vari altri ambienti, come cubicola, che nel corso dei lavori di ampliamento della villa hanno perso la decorazione in secondo stile per passare a quella in , il triclinio del grande fregio ed il quartiere termale, dismesso dopo il terremoto del 62 e utilizzato come deposito e come scala per l'accesso al piano superiore, il quale affacciava sul peristilio e accoglieva le stanze utilizzate dalla servitù. Le decorazioni parietali si differenziano a seconda del periodo storico durante le quali sono state realizzate: il tablino è affrescato con pareti nere e decorazioni in , tipiche del terzo e quarto stile, mentre altri affreschi in secondo stile furono mantenuti anche durante gli ampliamenti, come in un cubicolo, dove sono rappresentate scene del mito di Dioniso ed nel triclinio dove si raggiunge uno nei massimi esempi di questo stile.
Scena della flagellazione e termine del rito
Si tratta di una raffigurazione del I secolo a.C., opera di un artista anonimo del luogo, che ha lavorato su tutte le pareti dell'ambiente, dipingendo personaggi a grandezza naturale, con una tecnica chiamata megalographia, ispirata fortemente alla pittura greca. Ancora incerto è il soggetto e il significato dell'affresco: si tratta di una serie di sequenze, dieci per l'esattezza, che potrebbero raffigurare uno spettacolo di mimi o i preparativi per un matrimonio oppure momenti di un rito: secondo alcuni studiosi, tale rito potrebbe essere quello dell'iniziazione di una sposa al dio Dioniso.
Partendo da nord la prima scena raffigura una donna che si acconcia i capelli, circondata da amorini che reggono degli specchi; segue una figura seduta su di un trono, secondo alcuni la matrona che controlla le fasi del rito, secondo altri l'iniziata che ripensa alla tappe effettuate durante il rito; la terza scena è quella della catechesi dove a sinistra è affrescata la sposa con il velo in testa, al centro una sacerdotessa con ai piedi un fanciullo che legge testi sacri e alla destra la sposa che porta tra le mani i testi sacri; segue la scena dell'agape: una sacerdotessa seduta di spalle versa del vino su di un ramo di mirto, attorniata da due assistenti e da un sileno che suona la lira; la quinta scena raffigura una satiressa che allatta un capretto, accompagnata da un satiro che suona il flauto e con la sposa che spaventata dalla situazione cerca di proteggersi avvolgendosi in un ; viene poi raffigurata la catottromanzia ossia la divinazione attraverso lo specchio rappresentato da un sileno, che in questo caso funge da sacerdote, che porge ad un giovane una coppa nella quale si specchia; la scena di Dioniso e Arianna è la più rovinata della serie e raffigura Dioniso tra le braccia di Arianna; l'ottavo affresco è quello del linkenon e phallos, dove la giovane inizianda è scalza ed è ricoperta per metà da un mantello, nell'atto di scoprire il fallo del dio Dioniso, simbolo di fertilità; la penultima sequenza è la flagellazione: l'iniziata è raffigurata in ginocchio, poggiata sulle gambe di un'amica, con la schiena nuda, mentre viene frustata da Telete, figlia di Dioniso e Nicea; la decima e ultima scena, rappresenta la fine del ciclo, con l'iniziata che danza, accompagnata da una ministra del culto, suonando dei cimbali che ha tra le mani.
meri si ottiene l'anno della mitica