Il caso Jucker

Il caso Jucker

Ruggero Jucker e la morte di Alenya
mai più nessuno nel loft dell'omicidio

Lui aveva 36 anni ed era il rampollo di una ricca famiglia di collezionisti. Lei 26: bella e vitale,
studiava scienze politiche all'università e lavorava part time in un negozio nel centro di Milano

di MASSIMO PISA

 

Dieci anni e molte mani di bianco, i quadri di una delle galleriste più chic della città e ora i pc e i tecnigrafi di un raffinato studio di urbanisti e progettisti di interni. Ovatta raffinata, com’era quell’appartamento openspace a L pieno di libri e candele e arte contemporanea, 50 metri quadri riempiti coi truci manifesti visivi di Paul McCarthy e quelli esistenziali e vitali di Pier Paolo Pasolini. Raffinato era l’inquilino di quella bomboniera, ricco e amante del bello. Bella, e vitale, era lei, la fidanzata dal profilo delicato, studentessa e commessa di buona famiglia come ottima e storica era quella di lui. Poppy, il figlio di Mimmino e di Lalla, nomignoli che usano nell’alta società e ingentiliscono l’austero cognome svizzero-tedesco.


Il nome di lei veniva da un villaggio pirenaico circondato di albicocchi e vigneti. Dieci anni. Non hanno cancellato nulla di una scena che ancora fa tremare il sangue alle più dure tra le pellacce di cuoio della questura. Che fece inginocchiare durante un sopralluogo, e farsi il segno del cristiano, e pregare, pure un magistrato che aveva affondato le mani nella notte della Repubblica come Guido Salvini. Via Filippo Corridoni 41, due ore all’alba di sabato luglio 2002.

 

Ruggero Jucker e Alenya Bortolotto. La notte dell’orrore.
Memorie e ferite ancora vive. Ruggero il rampollo, ramo cadetto di una famiglia di collezionisti dei migliori autori contemporanei, aveva 36 anni all’epoca. La vita, oltre ai soldi e al gusto, gli aveva dato tutto. Aveva lavorato col padre nell’azienda di impianti idraulici, poi la madre, regina del catering di lusso nei quartieri alti, lo aveva mandato a studiare cucina a New York.

A Milano, in via Sottocorno, aveva aperto la J Zuppe, ristorazione vegetariana di tendenza. Aveva conosciuto Alenya, 26 anni, al WP Store dove gli Jucker andavano a fare acquisti. Commessa parttime, studentessa di Scienze Politiche. Due case. Quella in corso Concordia di papà Robertino, manager e amico di pezzi grossi di Forza Italia (da Michele Saponara che sarà l’avvocato di parte civile a Marcello Dell’Utri), e quella di via Bazzoni di Patrizia Rota, braccio di un manager assicurativo. Murielle, 23 anni, è la goccia d’acqua della sorella, le distingue solo la cascata di dreads sulle spalle.

Alenya e Poppy. Legame solido, dura da un anno e mezzo, l’appartamento di lui in via Melzo è in ristrutturazione e sarà il loro nido. Per ora c’è l’appartamento di via Corridoni, nel cuore del loro agiato quadrilatero, pieno di libri e di coltelli orientali, le pareti gialle e l’ottocentesco tavolone in legno (ma con le ruote), l’enorme frigo metallico e il letto a baldacchino, le polaroid di lui e lei sulla credenza e i leoni in pietra, il manifesto di McCarthy (un cuoco con uno spiedino sanguinolento in mano) e il giardinetto interno, le frasi di Pasolini («Adulto? Mai») al muro e i libri estremi di fotografi giapponesi che riprendono le torture sulle donne. Segnali. Alenya da un paio di settimane con un velo di tristezza sugli occhi. «Come fosse sul punto di piangere», la ricorderà una barista del quartiere. Ruggero più che inquieto. Quella freddezza gentile ed educata aveva cominciato a partorire scatti d’ira e frasi sconnesse. Il neurologo da cui lo aveva portato la madre Lalla aveva prescritto litio. Da New York era tornato Dario, il fratello minore avvocato presso lo studio Carnelutti. Il catering da preparare per un evento Vodafone aveva sovralimentato lo stress.

Venerdì 19 luglio, dopo aver cenato con padre e fratello in viale Premuda, Poppy citofona ai Bortolotto in corso Concordia. Sono le 22. Alenya scende, a piedi vanno verso via Corridoni. Durante il tragitto racconta il sogno di mamma Patrizia: un nipote, un figlio, il loro. A casa, lui si fa una doccia, insieme fumano una canna e vanno a letto. Quando Ruggero Jucker si sveglia è nervosissimo. Ringhia, insulta, minaccia. Alenya va verso il telefono fisso, lui glielo strappa di mano. Poi scarta l’ultimo regalo di un amico, un coltello da sushi istoriato con ideogrammi. Alenya corre in bagno ma la porta non ha chiave e la finestra ha le inferriate. Sono le 3. La prima coltellata è alla schiena, ne seguiranno quaranta. Pezzi di cadavere gettati nel giardinetto. E poi silenzio, per un’ora. In cui Ruggero mette gli indumenti sporchi in lavatrice, telefona (lo diranno i tabulati) al fratello, vaga. Poi la scena finale: il rampollo Jucker si aggrappa al cancello interno urlando «sono Osama Bin Laden», esce nudo sul marciapiede e ulula «sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo», ai vicini che si affacciano motteggia «un, due, tre, buonasera». Quando una volante lo porta via, risponde placido: «Mi saluti la mamma e il papà».

Segue lo sgomento. Seguono le pietrate alla vetrina della zupperia in via Sottocorno: mai più riaperta, c’è un «affittasi» ancora oggi. Seguono le perizie, gli interrogatori, i processi, le analisi sul rapporto madrefiglia, la fredda lettera di scuse degli Jucker ai Bortolotto, Ruggero che non sa spiegare quel furore su «Alenya, poverina, lei non c’entra nulla». Trent’anni in primo grado, sedici patteggiati in secondo, altre polemiche al primo permesso premio e alla richiesta di affido in prova (respinta). Uscirà dal carcere di Bollate, dove si è reiscritto all’università, a fine anno. E non tornerà in via Corridoni, dove viveva in affitto. Perché quella non è mai più stata casa, né poteva esserlo. La rilevò Claudia Gian Ferrari, signora dell’arte milanese, ne fece galleria fino alla morte nel 2010. Poi i proprietari, lo studio Archimi, se lo ripresero indietro. La cucina non c’è più, e nemmeno il baldacchino. Niente, di Alenya e Poppy, è rimasto.

https://mdst.it/03v412009/

Inserito da Cristina Genna Blogger

 

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