i delitti dei comunisti in italia

i delitti dei comunisti in italia

Osservatorio sui delitti 
del comunismo in Italia

 

Le Foibe

 


Il termine foiba è corruzione dialettale del latino "fovea", che significa fossa, incavo, apertura del terreno.

"Circa 1700 sono le foibe nel territorio istriano - racconta Fulvio Farba in un articolo apparso nel 1992 su Nuovo Fronte - hanno forma di un imbuto rovesciato, ma ve ne sono anche perpendicolari, profonde da pochi metri ad alcune centinaia; di solito scorre acqua sul fondo. Ciò serve a capire quanto sia stato facile per gli assassini slavi eliminare e far scomparire le loro vittime. Gli infoibamenti avvennero in due tempi, settembre 1943 e maggio 1945".

In questa sezione ci occuperemo solo delle stragi perpetrate a guerra finita, e quindi nel maggio 1945 e mesi successivi, rinviando ad altro luogo la disamina dei delitti commessi dai comunisti durante la guerra.

 


ABISSO BERTARELLI

ANTIGNANA

BASOVIZZA

BAZZANO

BRIONI

CAMPAGNA

CANTRIDA

CARNIZZA

CASTELLIER

CASTELNUOVO D'ARSA

CERNOVIZZA

CORGNALE

CRADARO

CREGLI

FOSSA DEI COLOMBI

JELENKA

JURANI

GROPADA

MONRUPINO

OBROVO

ORLE

PAUGNANO

PEDENA

PISINVECCHIO

PODGOMILA

POGLIACCHI

PUSICCHI

RACIEVAZ

RASPO

SAN DOMENICO DI ALBONA

SAN GIOVANNI DELLE CISTERNE

SAN SERVOLO

SANTA CATERINA

SANTA LUCIA

SCADAISCINA

SCOPETTI

SELLA DI MONTESANO

SEMEZ

SESANA

SOSSI

SURANI

TARNOVIZZA

TERLI

TUPLIACO

UMAGO

VESCOVADO

VILLA CECCHI

VILLA FRANZI

VILLA ORIZI

VINES


I nomi dell'orrore rappresentano un elenco assai incompleto dei luoghi in cui furono precipitati e uccisi dai comunisti filotitini migliaia e migliaia di italiani.

 


In attesa di elaborare nostro materiale storiografico sugli eccidi delle foibe, vi proponiamo il disegno della foiba di Basovizza e il relativo racconto così come sono riportati nell'interessante sitowww.geocities.com/CapitolHill/4676/foibe.htm.

 


 

LA FOIBA DI BASOVIZZA

 

 


Ecco quanto ha scritto sui tragici 40 giorni dell'occupazione, jugoslava Diego De Castro, che fu rappresentante italiano presso il Governo militare alleato a Trieste:

" (...) forse non è inutile ricordare agli altri italiani quali furono gli orrori dell'occupazione jugoslava di Trieste e dell'Istria: gli spari del maggio 1945 contro un corteo di italiani inermi con cinque morti e innumerevoli feriti, le razzie di miliardi di allora nelle banche. nelle società, negli enti pubblici. A tutti i nostri connazionali è ormai nota la lugubre parola foiba e tutti sanno che cosa sono i campi di concentramento."

Sul ciglione carsico, a 9 chilometri da Trieste, sorge la borgata di Basovizza. Nei pressi si apriva il "Pozzo della miniera", oggi meglio conosciuto come "Foiba di Basovizza", divenuta simbolo di tutte le foibe del Carso e dell'Istria, e di tutti i luoghi che videro il martirio e la morte atroce di italiani, sia per il numero delle vittime che ha inghiottito, sia tragicità delle vicende connesse alla strage colà perpetrata.

 


Occorre precisare che questa tristemente famosa voragine non è una foiba naturale, ma, appunto come si accennato sopra, il pozzo di una miniera scavato all'inizio del secolo fino alla profondità di 256 metri, nella speranza di trovarvi il carbone. La speranza andò delusa e l'impresa venne abbandonata. Nessuno allora si curò di coprire l'imboccatura e così, nel 1945, il pozzo si trasformò in una grande, orrida tomba.

Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave nella Venezia Giulia durante l'invasione, dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di Parigi, descrive la tremenda via-crucis delle vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo essere state prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un rigido coprifuoco.

Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.

 


Ma chi erano le vittime? Italiani di ogni estrazione: civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale. Contro questi ultimi ci fu una caccia mirata, perchè in quel momento rappresentavano gli oppositori più temuti delle mire annessionistiche di Tito.

Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e sloveni anticomunisti.

Quante furono le vittime delle foibe? Nessuno lo saprà mai! Di certo non lo sanno neanche gli esecutori delle stragi. Questi non hanno parlato e non parlano. Finora qui non si è alzato alcun Otello Montanari come a Reggio Emilia, ad ammonire i compagni comunisti. D'altra parte è, pensabile che in quel clima di furore omicida e di caos ben poco ci si curasse di tenere la contabilità delle esecuzioni.

Sulla base di vari elementi si calcola che gli infoibati furono alcune migliaia. Più precisamente, secondo lo studioso triestino Raoul Pupo, "il numero degli infoibati può essere calcolato tra i 4 mila e i 5 mila, prendendo come attendibili i libri del sindaco Gianni Bartoli e i dati degli anglo-americani".

Alle vittime delle foibe vanno aggiunti i deportati, anche questi a migliaia, nei lager jugoslavi, dai quali una gran parte non conobbero ritorno. Complessivamente le vittime di quegli anni tragici, soppresse in vario modo da mano slavo-comunista, vengono indicati in 10 mila anche più. Belgrado non ha mai fatto o contestato cifre. Lo stesso Tito però ammise la grande mattanza.

Per quanto riguarda specificamente le persone fatte precipitare nella Foiba di Basovizza, è stato fatto un calcolo inusuale e impressionante.

Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo spazio volumetrico - indicato sulla stele al Sacrario di Basovizza in 300 metri cubi - conterrebbe le salme degli infoibati: oltre duemila vittime! Una cifra agghiacciante. Ma anche se fossero la metà, questa rappresenterebbe pur sempre una strage immane. A guerra finita!

E i carnefici? lndividui rimasti senza volto. Comunque è ritenuto certo che agirono su direttive deII'OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di manovalanza locale. Nell'invasione jugoslava di Trieste e di ciò che ne seguì i comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare e ad arrestare. Loro elementi formavano il nerbo della "difesa popolare

.

 

 

  • Sempre a guerra finita l'odio comunista si scatenò contro altre migliaia di innocenti in quello che fu definito il Triangolo della Morte, una vasta zona compresa tra Bologna, Modena e Reggio Emilia.
 

La Volante Rossa

 

 


Il gruppo terroristico denominato Volante Rossa agì a Milano lungo un arco di tempo di quasi quattro anni, dall'estate del 1945 al febbraio del 1949.

Fu costituito ad opera di partigiani comunisti provenienti dalle Brigate garibaldine 116a, 117a e 118a.

Il suo fondatore e capo fu Giulio Paggio, originario di Saronno, nome di battaglia Alvaro.

Nonostante il grande scalpore che le azioni di tale formazione terroristica fecero, e di cui parleremo, su di essa in questi cinquant'anni è calata una cortina di silenzio, rotta soltanto nel 1977 da un saggio diCesare Bermani pubblicato sulla rivista "Primo Maggio" e nel maggio 1996 da un libro di Carlo Guerriero e Fausto Rondinelli edito da Datanews dal titolo "La Volante Rossa".

Si tratta di due saggi opera di autori di sinistra, ampiamente giustificazionisti, ai quali peraltro va riconosciuto il merito di aver rotto un vero e proprio muro di omertà che il Partito Comunista prima e il PDSpoi avevano elevato intorno a questa scomoda ed ingombrante storia.

In particolare il secondo saggio ha una strana intonazione: troppo fazioso per apparire come una sera ricostruzione storica, troppo obiettivo per essere considerato solo un'opera apologetica.

Descrive ed enumera i delitti, indifendibili, commessi dagli aderenti alla Volante Rossa, ma si conclude con queste parole: "Nei decenni successivi il ricordo della formazione di ex partigiani milanesi era destinato a riaffiorare ogni volta che mobilitazioni antifasciste ed operaie tornavano a far salire la tensione nelle aree industriali del nord: segno evidente che il valore, anche leggendario, che quella lontana esperienza di lotta aveva assunto non era stato affatto intaccato né dalle strumentalizzazioni né dalla rimozione operata nei suoi confronti da parte del PCI." (Evidenziazione nostra).

Deve destare preoccupazione il fatto che nel 1996 vi sia ancora qualcuno che attribuisca ai crimini della Volante Rossa un valore, anche leggendario

Ma vediamo quali furono questi crimini, quasi tutti commessi a Milano.

gennaio 1947 - Omicidio di Eva Macciacchini e di Brunilde Tanzi, simpatizzanti di movimenti di destra.

14 marzo 1947 - Omicidio del giornalista Franco De Agazio, direttore della rivista "Meridiano d'Italia".

16 giugno 1947 - Assalto ad un bar di via Pacini 32, ritenuto luogo di ritrovo di simpatizzanti di destra, a colpi di sassi e di pistola.

6 luglio 1947 - Attentato contro l'abitazione di Fulvio Mazzetti, simpatizzante di destra, in Corso Lodi 33. La bomba a mano lanciata contro l'abitazione rimbalza contro una zanzariera e ricade in strada, ove ferisce uno degli attentatori, Mario Gandini. L'altro si chiama Walter Veneri.

10 luglio 1947 - Attentato contro la sede del settimanale missino "Rivolta Ideale". Qui una quarantina di persone erano radunate per ascoltare una conferenza del professor Achille Cruciani. Due terroristi lanciarono una bomba nella sala con la miccia già accesa. Uno dei presenti la raccolse e la lanciò giù dalla finestra, ove esplose danneggiando il palazzo di via Agnello 10 e tre automobili.

27 luglio 1947 - Un ordigno al plastico viene collocato all'interno di un cinema nel quale il professor Cruciani doveva tenere un'altra conferenza. La polizia lo ritrova prima che esploda.

11 ottobre 1947 - Assalto alla sede del M.S.I. di via Santa Radegonda, che viene devastata. Numerosi missini presenti vengono feriti.

29 ottobre 1947 - Al termine di una manifestazione indetta dalla Camera del Lavoro, viene assalita e distrutta la sede della rivista "Meridiano d'Italia".

4 novembre 1947 - Omicidio di Ferruccio Gatti, responsabile milanese del M.S.I., nella sua abitazione, in viale Gian Galeazzo 20.

4 novembre 1947 - Tentato omicidio di Antonio Marchelli, segretario della sezione del M.S.I. di Lambrate.

5 novembre 1947 - Omicidio, a Sesto San Giovanni, di Michele Petruccelli, aderente al Movimento "Uomo Qualunque".

12 novembre 1947 - Assalto alle sedi dell'Uomo Qualunque in Corso Italia, del M.S.I. in via Santa Radegonda e della rivista "Meridiano d'Italia".

13 novembre 1947 - A bordo di tre camion i terroristi della Volante Rossa si recano in via Monte Grappa e devastano la sede del Movimento Nazionale Democrazia Sociale.

14 novembre 1947 - Irruzione nella sede del Partito Liberale Italiano in corso Venezia.

27 novembre 1947 - Assalto alla Prefettura di Milano, insieme a centinaia di manifestanti che protestavano contro la sostituzione del Prefetto Troilo. Nella stessa giornata viene assalita la sede del M.S.I. e quella della RAI in corso Sempione.

6 dicembre 1947 - Aggressione ad una guardia giurata della Breda, a Sesto San Giovanni.

12 dicembre 1947 - Sequestro dell'ingegner Italo Tofanello, dirigente delle Acciaierie Falck, in via Natale Battaglia 29. Condotto in Piazza Duomo l'ingegnere viene costretto a spogliarsi e quindi viene rilasciato senza vestiti.

10 aprile 1948 - Disordini durante un comizio del M.S.I. in piazza Belgioioso.

25 aprile 1948 - Disordini durante una manifestazione non autorizzata a piazzale Loreto.

15 luglio 1948 - Scontri con le Forze dell'Ordine durante l'occupazione degli stabilimenti Bezzi e Motta.

13 ottobre 1948 - Aggressione ad alcuni dirigenti della Breda.

27 gennaio 1949 - Omicidio di Felice Ghisalberti in via Lomazzo e del dottor Leonardo Massaza in piazza Leonardo da Vinci, ritenuti entrambi simpatizzanti di destra.

L'elenco di questi crimini naturalmente rappresenta in modo assai sommario la vera attività della Volante Rossa. Si tratta degli episodi sicuramente attribuibili a questa formazione, mentre non compare una quantità di altre azioni che in quegli anni turbolenti furono commesse da estremisti di sinistra, quasi sicuramente appartenenti alla Volante Rossa, ma di cui non abbiamo documentazione certa.

Circa l'epilogo del gruppo terroristico, nel 1951 fu celebrato il processo contro 32 membri della Volante Rossa, di cui 27 in carcere e 5 latitanti.

I condannati furono 23, di cui 4 all'ergastolo.

Dei 5 latitanti 3 sfuggirono all'arresto grazie all'aiuto del P.C.I. che li fece espatriare oltrecortina: Giulio Paggio e Paolo Finardi in Cecoslovacchia e Natale Burato in Unione Sovietica.

Il 26 ottobre 1978 il neo-eletto Presidente della Repubblica Sandro Pertini firma il decreto di grazia per i 3 terroristi rifugiati all'estero.

Ed ecco un elenco, ampiamente incompleto, degli appartenenti alla Volante Rossa:

- Otello Alterchi (Otelin), elettricista, classe 1928;

- Felice Arnè, nome di battaglia Ciro, operaio, classe 1930;

- Giordano Biadigo (Tom), operaio, classe 1929;

- Bruno Bonasio, elettricista, classe 1926;

- Primo Borghini, custode della Casa del Popolo di Lambrate, classe 1920;

- Mario Bosetti, classe 1926;

- Natale Burato;

- Luigi Canepari (Pipa), meccanico, classe 1925;

- Camillo Cassis, idraulico, classe 1925;

- Ennio Cattaneo, elettricista, classe 1930;

- Domenico Cavuoto (Menguc), barista, classe 1930;

- Giulio Cimpellin (Ciro), meccanico, classe 1920;

- Ferdinando Clerici (Balilla), operaio, classe 1928;

- Luigi Comini (Luisott), fotografo, classe 1925;

- Walter Fasoli (Walter), disoccupato, classe 1917;

- Paolo Finardi;

- Mario Gandini;

- Pietro Iani (Iani), idraulico, classe 1926;

- Giacomo Lotteri (Loteri), meccanico, classe 1920;

- Angelo Maria Magni, elettricista, classe 1926;

- Sante Marchesi (Santino), radiotecnico, classe 1926;

- Antonio Minafra (Missaglia), classe 1919;

- Enrico Mondani, tipografo e segretario della sezione Lambrate del P.C.I., classe 1925;

- Mario Mondani, meccanico, classe 1927;

- Giulio Paggio (Alvaro);

- Ettore Patrioli (Iaia), meccanico, classe 1926;

- Carlo Reina, conciatore, classe 1926;

- Emilio Tosato (Lietù), elettricista, classe 1929;

- Ferruccio Tosi (Casso), elettricista, classe 1929;

- Eligio Trincheri;

- Angelo Vecchio (Tarzan), operaio, classe 1925;

- Dante Vecchio (Tino), meccanico, classe 1917;

- Walter Veneri;

- Italo Zonato (Italo), meccanico, classe 1925;

 
 

Lotta Continua

 


Dall'Espresso del 5 settembre 1996 riprendiamo la cronologia dei "Sette anni di guai" (titolo dell'articolo) di Lotta Continua, dalla sua fondazione nel 1969 al suo scioglimento nel 1976. Ricordiamo che il Direttore dell'Espresso, Claudio Rinaldi, è stato autorevole rappresentante del movimento, per cui è da ritenersi testimone senz'altro attendibile.

Mancano però dalla cronologia alcune "azioni" compiute da militanti di Lotta Continua, che, data lo loro gravità, ci sembra avrebbero dovuto essere menzionate. Per ovviare a queste "dimenticanze", abbiamo inserito di nostra iniziativa gli episodi più significativi (paragrafi in corsivo).

27 maggio 1969 La sigla Lotta Continua compare per la prima volta come intestazione di un volantino alla Fiat Mirafiori.

3 luglio 1969 Corteo operai-studenti a Torino. Scontri con la polizia.

27 luglio 1969 Sempre a Torino, primo convegno nazionale dei comitati e delle avanguardie operaie.

Autunno 1969 Si forma il gruppo di Lotta Continua, principalmente per iniziativa del Potere Operaio di Pisa (Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Carla Melazzini, Franco Bolis, Cesare Moreno), del Potere Proletario di Pavia (Sergio Saviori), del Movimento Studentesco di Torino (Guido Viale, Luigi Bobbio), Milano (Luciano Pero, Franca Fossati, Luigi Manconi), Trento (Mauro Rostagno, Marco Boato). Lotta Continua si inserisce nelle manifestazioni operaie dell'autunno caldo con la parola d'ordine "Rompere la gabbia del contratto".

1 novembre 1969 Esce il settimanale "Lotta Continua". È stampato a Milano. Se ne occupano Bobbio, Manconi, Vicky Reichmann e Claudio Rinaldi.

19 novembre 1969 In scontri fra dimostranti e polizia muore a Milano l'agente Antonio Annarumma.

22 novembre 1969 "Lotta Continua", con l'articolo "La violenza operaia dalle fabbriche alle strade", invita a "rivendicare la risposta di massa e violenta".

20 dicembre 1969 Il settimanale denuncia la strage di Piazza Fontana come strage di Stato. È l'inizio della cosiddetta controinformazione militante.

Inverno 1969-70 Ogni sabato assemblea nazionale: Pisa, Venezia, Firenze, Roma, Trento, Genova, Pavia, Bologna.

Primavera 1970 Alle Regionali Lotta Continua è per la non partecipazione. Slogan: "È la lotta, non il voto, è la lotta che decide".

Luglio 1970 A Reggio Calabria Lotta Continua cerca di farsi spazio nella rivolta populista dei Boia chi molla.

25-26 luglio 1970 Torino: Primo convegno nazionale di Lotta Continua.

Ottobre 1970 "Lotta Continua" lancia l'inserto "Proletari in divisa", destinato ai militari di leva.

Novembre 1970 Lotta Continua passa dalle semplici lotte nelle fabbriche alla mobilitazione sul territorio ("Prendiamoci la città").

Gennaio 1971 Una sentenza della magistratura definisce legittima l'occupazione delle case di Via Mac Mahon, a Milano, promossa da Lotta Continua. Altre case verranno occupate nel giugno successivo in Viale Tibaldi.

Giugno 1971 Il settimanale inaugura la rubrica "I dannati della terra", con l'obiettivo di promuovere lotte nelle carceri. Allo stesso scopo è incisa su disco la canzone "Liberare tutti". Sulla copertina è scritto: "Parole e musica del proletariato".

5 ottobre 1971 In vista dell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, Lotta Continua apre la campagna "No al fanfascismo".

Novembre 1971 Sofri si trasferisce a Napoli e fonda "Mo' che il tempo s'avvicina", foglio di agitazione per il Sud.

3 marzo 1972 A Milano le Brigate Rosse compiono il primo rapimento, quello del dirigente Siemens Hidalgo Macchiarini ("Colpiscine uno per educarne cento").

4 marzo 1972 L'esecutivo milanese di Lotta Continua dà del sequestro un giudizio positivo. Un'ala del movimento, facente capo a Luciano Pero, comincia a dissentire.

22 marzo 1972 Un militante di L.C., Maurizio Pedrazzini, già autore di numerose rapine in banca finalizzate a finanziare il movimento, fallisce un attentato alla vita dell'onorevole missino Franco Servello.

Così descrive l'episodio Leonardo Marino nel libro "La verità di piombo":

"In quei giorni era andata buca la prima operazione di giustizia rivoluzionaria della nostra organizzazione: l'assassinio dell'on. missino Franco Servello, capo dei fascisti milanesi. Il compagno Maurizio Pedrazzini, che avrebbe dovuto giustiziarlo, si era fatto beccare con l'arma in mano sul pianerottolo dell'abitazione di Servello. Pedrazzini si era appostato al piano di sopra, in attesa che Servello uscisse di casa e chiamasse l'ascensore. Avrebbe dovuto piombargli alle spalle e sparargli mentre l'on. missino entrava in cabina. Ma il nervosismo lo aveva tradito e, mentre aspettava, gli era partito un colpo che aveva fatto uscire tutta la gente dalle loro abitazioni. Pedrazzini, subito catturato, disse che voleva soltanto minacciarlo con la pistola per impedirgli di andare a tenere un comizio."

Nel dicembre 1988 Pedrazzini è stato ucciso dalla polizia austriaca ad Innsbruck mentre cercava di mettere a segno una rapina in banca.

 

1-3 aprile 1972 Si precisa la tendenza che Bobbio, nella sua storia di Lotta Continua, chiamerà "svolta militarista di Rimini": Al terzo convegno nazionale di Lotta Continua viene approvata la linea del cosiddetto "scontro generale" con la borghesia e lo Stato.

11 aprile 1972 "Lotta Continua" diventa quotidiano. Per le imminenti elezioni politiche viene coniato lo slogan "I fascisti non devono parlare", in nome del quale alcune sezioni del MSI vengono assalite.

17 maggio 1972 Viene ucciso in un agguato a Milano il commissario di polizia Luigi Calabresi.

18 maggio 1972 "Lotta Continua" definisce l'assassinio "un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia". Il dissenso a Milano si estende. In tutti i nuclei di Lotta Continua la linea viene discussa. Ma alla fine, in un'assemblea cittadina, le colombe di Pero si ritrovano in netta minoranza. Luglio 1972 Sui "Quaderni Piacentini" Pero pubblica, con lo pseudonimo di Giancarlo Abbiati, sotto il titolo "Contro il terrorismo", una dura requisitoria contro la linea vincente di Lotta Continua.

14-15 ottobre 1972 Il Comitato nazionale di Lotta Continua comincia una cauta autocritica delle posizioni assunte nei mesi precedenti.

1973 Lotta Continua cambia linea e auspica l'ingresso del PCI nel governo. Nei cortei gli altri gruppi scandiscono:"Ellecì / non è qui / fa la corte al PCI...

Fine 1973 Lotta Continua tenta di superare il movimentismo e punta ad "agire da partito".

1974 Militanti di Lotta Continua, delusi dalla svolta moderata, lasciano il gruppo ed aderiscono all'Autonomia.

29 ottobre 1974 Due ex di Lotta Continua, Luca Mantini e Giuseppe Romeo, muoiono nel corso di una rapina a Firenze. Stavolta "Lotta Continua" condanna la violenza.

7-12 gennaio 1975 Primo congresso nazionale di Lotta Continua. Per la prima volta il Comitato nazionale è eletto a scrutinio segreto. Alle regionali si decide di votare PCI.

19-20 luglio 1975 Con una maxi-festa a Licola, in Campania, si consuma il passaggio dal movimento studentesco al cosiddetto proletariato giovanile. Da questo momento, nella galassia gruppettara, le tematiche del personale tendono a prendere il sopravvento su quelle politiche. Per i Circoli Ottobre, organismi di Lotta Continua per i ragazzi, comincia una rapida decadenza.

6 dicembre 1975 A Roma i militanti di Lotta Continua della sezione Cinecittà tentano di boicottare una grande manifestazione femminista irrompendo nel corteo al grido di "E ora / e ora / la fica a chi lavora". L'assalto viene respinto. Per Lotta Continua è l'inizio della fine.

20 giugno 1976 Lotta Continua si presenta alle politiche facendo liste comuni con il Partito di Unità proletaria, Avanguardia Operaia e Movimento lavoratori per il socialismo. Il risultato è modestissimo.

31 ottobre - 5 novembre 1976 A Rimini il secondo Congresso nazionale di Lotta Continua vede un duro scontro fra il quadro dirigente e le donne. Il movimento, pur senza dichiarazioni formali di scioglimento, si dissolve. Sopravvive il quotidiano, diretto da Enrico Deaglio, che sempre più diventa una specie di palestra per ex militanti disorientati e giovani dell'ultrasinistra in crisi.

 

 

 

Avanguardia Operaia

 


Insieme al Movimento Studentesco e a Lotta ContinuaAvanguardia Operaia è stata il terzo grande movimento che, nel decennio tra il 1968 e la metà degli anni '70, ha attirato a sè tanti giovani e si è reso responsabile di tanti atti di violenza, in particolar modo a Milano.

Tra questi ricordiamo l'assassionio di Sergio Ramelli giovane militante del Fronte della Gioventù (l'organizzazione giovanile del M.S.I.) e l'assalto al bar di Largo Porto di Classe di Milano.

Sorta nel 1968 ad opera di Silverio CorvisieriMassimo GorlaSilvana BarbieriLuigi BelloStefano SemenzatoLuigi Vinci e altri, si presenta sulla scena politica con un opuscolo dal titolo "Per il rilancio di una politica di classe", edito da Samonà e Savelli.

A proposito di questa casa editrice, che fu tra le più attive a pubblicare e diffondere le più infami opere di propaganda marxista-leninista di quegli anni, vi è da sottolineare come uno dei due titolari, Giulio Savelli sia in seguito divenuto uno dei più attivi organizzatori del movimento di Forza Italia a Milano.

È incredibile pensare come talune persone -non manovali della politica, ma uomini di pensiero e cultura, in questo caso addirittura di un editore!- riescano nel breve volgere di una vita a modificare tanto radicalmente le loro posizioni.

Tutto ciò mentre ad altre persone il breve volgere di una vita non è sufficiente ad esprimere neppure in parte l'amore e la passione che li lega ai propri ideali!

Ma torniamo ai nostri "avanguardisti".

Come già abbiamo detto il delitto più grave di cui si macchiarono costoro fu l'omicidio di Sergio Ramelli.

In questo caso, seppure a distanza di anni, mandanti ed esecutori furono individuati, processati e condannati (anche se ora si trovano nuovamente in libertà ed hanno ripreso ad aggirarsi tra noi).

L'Ordinanza di rinvio a giudizio degli assassini è un lungo documento che ben sintetizza la storia e l'ambiente in cui maturò il delitto, senza tralasciare di descrivere altri gravi episodi addebitabili agli appartenenti ad Avanguardia Operaia e delle altre formazioni di estrema sinistra.

È un documento certo, non oppugnabile e sicuramente obiettivo, anche perchè a redigerlo furono due giudici, Maurizio Grigo e Guido Salvini, non sospettabili di simpatie destrorse. Il secondo, addirittura, negli anni Settanta aveva militato nelle formazioni di estrema sinistra.

Lo riportiamo in versione quasi integrale, così come lo abbiamo desunto da un bel libro uscito nel 1997 per le edizioni Effedieffe: "Sergio Ramelli: una storia che fa ancora paura". Ringraziamo gli autori Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo e Paolo Severgnini, che certamente approveranno questa nostra diffusione su Internet di un documento tratto dalla loro opera.

 

Ordinanza di rinvio a giudizio per l'omicidio di Sergio Ramelli nei confronti di: Marco Costa, Giuseppe Ferrari Bravo, Luigi Montinari, Claudio Colosio, Claudio Scazza, Franco Castelli, Antonio Belpiede e Brunella Colombelli.

1. Il 13 marzo 1975, verso le ore 13, Ramelli Sergio residente a Milano in Via Amadeo numero 40, stava appoggiando il motorino poco oltre l'angolo con via Paladini nei pressi della sua abitazione. Veniva aggredito da alcuni giovani armati di chiavi inglesi: il ragazzo, dopo aver tentato disperatamente di difendersi proteggendosi il capo con le mani ed urlando, veniva colpito più volte e lasciato a terra esanime. Alcuni passanti lo soccorrevano e veniva ricoverato al reparto Beretta del Policlinico per trauma cranico (più esattamente ampie fratture con affondamento di vasti frammenti), ferita lacero-contusa del cuoio capelluto con fuoriuscita di sostanza cerebrale e stato comatoso. Nelle settimane successive alternava a lunghi periodi di incoscienza brevi tratti di lucidità e decedeva il 29 aprile 1975.

2. In relazione ai motivi dell'aggressione si è potuto accertare: 
- che tali motivi erano da ricercarsi nel fatto che il Ramelli era un giovane di destra, già oggetto di pesanti e continue e continue intimidazioni all'Istituto Molinari, che egli frequentava quale syudente, da parte di altri studenti della sinistra extraparlamentare soverchianti per numero all'interno dell'Istituto. 
- In particolare il Ramelli, già più volte prelevato a forza dalla sua classe e minacciato, era stato in data 13 gennaio 1975 circondato in strada da circa 80 studenti e costretto a cancellare con vernice bianca scritte fasciste apparse sui muri del Molinari
- Sempre a scuola, in occsione dello svolgimento di un tema avente ad oggetto le Brigate Rosse, il Ramelli aveva subito nuove intimidazioni ed una sorta di "processo politico". 
- Negli ultimi giorni del gennaio 1975 Luigi Ramelli, fratello di Sergio, era stato aggredito in via Amadeo da due giovani armati di chiavi inglesi che forse lo avevano scambiato per Sergio
- Il 3 febbraio 1975Ramelli Sergio, recatosi in Presidenza con il padre per presentare domanda di trasferimento in un'altra scuola, era stato oggetto di violenze ed intimidazioni, in quanto era stato costretto a passare nel corridoio della scuola fra due fila di studenti "avversari", schierati in modo minaccioso; il Ramelli era stato colpito ed era svenuto, mentre lo stesso Preside ed i professori che avevano "scortato" ilRamelli e il padre verso l'uscita erano stati malmenati. 
- Il 9 marzo 1975 Ramelli Sergio e il fratello Luigi, recatisi al Bar Tabacchi di viale Argonne, erano rimasti bloccati all'interno dell'esercizio per circa mezz'ora in quanto un gruppo di circa venti giovani con bandiere rosse li stava attendendo all'uscita con atteggiamento minaccioso. Costoro avevano poi desistito da eventuali atti di violenza quando un amico dei Ramelli, intervenendo con la propria autovettura, era riuscito a farli salire e ad accompagnarli a casa.

Dalle complessive indagini e deposizioni testimoniali assunte al tempo dei fatti emergeva il clima di costante prevaricazione che regnava al Molinari ad opera degli elementi della sinistra extra-parlamentare, nell'ambito dei quali Avanguardia Operaia aveva assoluta egemonia politica e numerica.

Anche un altro studente fra i pochissimi simpatizzanti di destra, tale Nai Claudio, era stato picchiato, espulso dall'Istituto e gli era stato intimato di non farsi più vedere a scuola.

Fra coloro che lo avevano più volte intimidito e minacciato erano stati notati elementi di spicco di Avanguardia Operaia della scuola e cioè De Vito, Di Puma e Crepaldi.

In data 28 aprile 1975 la Questura di Milano riferiva poi un episodio particolarmente odioso.

Quelle mattina (e cioè il giorno prima che l'agonia di Ramelli avesse termine) un gruppo di giovani si era portato sotto l'abitazione della famiglia Ramelli, staccandosi da un corteo, e aveva effettuato delle scritte e affisso un manifesto sul muro dell'edificio intimando al portinaio di non staccare il manifesto.

Scritte e manifesto contenevano gravi minacce nei confronti di Luigi Ramelli, intimandogli di sparire entro 48 ore e ricordandogli che il fratello era già stato picchiato.

Il manifesto veniva defisso dal personale della Questura di Milano avvisata dalla famiglia Ramelli.

In merito è opportuno ricordare che anche dalle successive fasi dell'istruttoria è emersa una sorta di persecuzione nei confronti della famiglia Ramelli, raggiunta prima e dopo la morte del ragazzo ed anche il giorno dei funerali da telefonate con cui venivano reiterate minacce a sfondo politico.

3. Non certo per infierire su tali imputati, ma piuttosto per delineare con chiarezza le responsabilità giuridiche e morali di chi facendo nascere, costruendo e dirigendo le strutture paramilitari di Avanguardia Operaia (e forse ancor più di altri gruppi) ha innescato e accelerato una sorta di guerra civile tra ragazzi legittimando e raccomandando la violenza come risposta alla violenza o, più spesso, facendo praticare il metodo della "rappresaglia preventiva", va rilevato che:

- nel novembre 1973, una domenica mattina, al termine di un "presidio antifascista" contro una riunione del MSI, che peraltro non aveva dato luogo ad alcun incidente ed era sorvegliata dalle forze dell'ordine,Di DomenicoCavallari e il già citato Di Puma (compagno di scuola di Ramelli) vengono arrestati in zona Città Studi perchè trovati in possesso di tre chiavi inglesi di notevoli dimensioni.

Gli stessi sono reduci dal luogo (piazza Piola) ove poco prima un gruppo di una ventina di persone del servizio d'ordine, di ritorno dal "presidio", ha brutalmente aggredito e ferito seriamente due persone (taliMazzotti e Coluccini) "colpevoli" una di aver acquistato un quotidiano di destra e l'altra di essere intervenuta a difesa dell'amico.

Nonostante le macchie di sangue presenti sui pantaloni del Di Domenico (il quale, da esperto in materia, teneva la chiave inglese appesa alla cintura con un gancio) itre, cosa non infrequente all'epoca, vengono fortunosamente assolti e quale dichiarazione finale, al termine del dibattimento, chiedono addirittura la restituzione delle chiavi inglesi.

La verità sull'episodio emergerà solo nel corso del presente procedimento.

Di Domenico, componente già allora della squadra di Agraria, una delle più attive, prese effettivamente parte all'aggressione, mentre Di Puma e Cavallari, che pure facevano parte del gruppo del servizio d'ordine che rientrava debitamente "attrezzato" dal presidio, si trovavano in posizione più arretrata.

Cavallari ha anche spontaneamente ricordato la storiella che effettivamente il Di Domenico aveva raccontato ai magistrati per giustificare la presenza di macchie di sangue sui pantaloni al momento dell'arresto, sangue che secondo tale imputato sarebbe fantasiosamente derivato dall'abitudine di mangiarsi la pelle intorno alle unghie.

4. Un mese e mezzo prima dell'aggressione a Ramelli Grassi (altro compagno di scuola di Ramelli, responsabile di aver fornito le foto segnaletiche e di aver predisposto l'aggressione a Sergio n.d.r.) e Di Domenico in funzione di organizzatori, Cavallari e uno studente di A.O. rimasto sconosciuto come aggressori materiali, nonchè Costa e qualche altro pure rimasto sconosciuto con funzioni di copertura, aggrediscono uno studente simpatizzante di destra dinanzi alla facoltà di Agraria con chiavi inglesi e senza tuttavia colpirlo gravemente.

Anche tale episodio si situa nella campagna del cosiddetto "antifascismo militante" e cioè l'aspetto direttamente operativo delle iniziative pubbliche per l'"M.S.I. fuorilegge" patrocinate da Avanguardia OperaiaLotta Continua e Movimento Studentesco.

Alcuni degli imputati (Di DomenicoCostaFerrari BravoColosio, probabilmente Costantini) partecipano con diverse funzioni un anno dopo all'irruzione al Bar Porto di Classe (31 marzo 1976), che rappresenta un altro esempio, caratterizzato da una tecnica "militare" ormai perfezionata, di aggressione fisica indiscriminata a persone, anche giovanissime, ritenuta "fasciste", con la reiterazione di colpi di chiavi inglesi sul capo.

Non è questa la sede per approfondire il problema, ma non può essere dimenticato che nell'abbaino di viale Bligny, vero archivio logistico della "struttura" di Avanguardia Operaia e delle strutture successive, è stata rinvenuta una mole impressionante di materiale. A carattere solo conoscitivo: oltre a materiale specificamente eversivo (il cui significato merita ulteriore approfondimento) sono state infatti trovate migliaia di schede, fotografie con ingrandimenti e studi di particolari, annotazioni dovute ad appostamenti con studio di abitudini e indicazioni di targhe, descrizioni di bar e locali pubblici, nonchè di sedi politiche con tanto di piantina degli interni, agendine, tessere di partito, documenti di identità provento di numerose aggressioni anche con conseguenze molto gravi ai danni di giovani di destra.

E ancora: documentazione riservata sia di provenienza delle forze armate dello Stato, sia di uffici giudiziari, nonchè indicazioni di appartenenti alle forze di polizia e su forze politiche oggetto in quel periodo di atti di intimidazione, quali gruppi rivali nella stessa estrema sinistra e gruppi cattolici.

5. Particolarmente inquietanti e sintomo del clima che si era creato non solo delle Università ma anche nelle scuole medie superiori, sono i resoconti, piuttosto numerosi, di "processi politici" cui erano stati sottoposti nei vari Istituti gli studenti sospettati di simpatizzare per la destra, con il consueto corteo di sottrazione di agendine e documenti personali al termine di aggressioni e a scopo sia ulteriormente intimidatorio sia di ulteriore "indagine", minacce di varia natura e sovente espulsioni a forza dall'Istituto.

Episodi cioè simili a quelli subíti prima dell'aggressione sotto casa da Ramelli ed, è doveroso dirlo, svoltisi in un clima di omertà generale (i pochi docenti che prendevano le difese degli "accusati" venivano subito tacciati di essere "fascisti" anch'essi) e di assoluta inerzia delle forze di polizia.

Che del resto il clima promosso dai vari gruppi estremisti non fosse esattamente quello del libero scambio delle idee risulta d'altra parte chiaro non solo da aggressioni a singoli, ma anche dalla pretesa di imporre comunque le proprie scelte alle altre forze politiche, di qualsiasi tendenza, con la forza.

Così a Città Studi, come altrove, si organizza il "boicottaggio" delle prime elezioni studentesche universitarie, approntando un presidio con tanto di chiavi inglesi onde dissuadere chi intenda votare dal farlo.

Specificamente per quanto concerne Città Studi la stessa designazione della squadra di Medicina per l'aggressione a Ramelli viene spiegata da tutti i suoi componenti con il fatto che questa squadra non si era ancora cimentata in qualche azione: ciò significa che le altre squadre, in particolare quelle di Agraria Fisica, oltre ai compiti di vigilanza ed autodifesa, avevano già dato dimostrazione di capacità nel concretizzare il discorso dell'"antifascismo militante".

La scelta dell'aggressione all'avversario politico nel 1975 come nel 1976 non suscita alcun dissenso di principio nei membri della squadra o alcun dibattito interno.

Si dà infatti per pacifico che chi accetta di partecipare al servizio d'ordine ha, come militante, l'imperativo di non sottrarsi all'uso, anche gratuito e comunque non certo difensivo, della violenza contro le persone. Tale modo di pensare, che oggi può apparire incomprensibile, va collocato indubbiamente nel contesto ideologico dell'epoca e nella profonda e quasi ossessiva opera di diseducazione ai valori della convivenza civile (e quindi della tolleranza e del rispetto per il "diverso") promossa dai dirigenti e dai leader carismatici delle varie organizzazioni dell'estrema sinistra.

6. Tale sorta di martellamento genera una disponibilità alla violenza tutta "ideologica" e cioè la demonizzazione dell'avversario politico (nella realtà oltretutto scarsamente presente) sganciata da qualsiasi esperienza o presa di coscienza personale (tanto che nessuno degli imputati, ad esempio, "risponde" effettivamente ad una violenza, poichè in precedenza non ne ha subíta alcuna).

Basta leggere il modesto campionario degli articoli del "Quotidiano dei Lavoratori" acquisiti agli atti dedicati alla campagna per l'MSI fuorilegge e all"antifascismo militante" per rendersi conto di come fosse ossessivo il richiamo alla necessità dell'uso della violenza, di come fosse costante la indicazione della superiorità di una sorta di "giustizia privata" rispetto all'intervento giudiziario e delle istituzioni (dipinte sempre e solo come conniventi con gruppi violrnti di destra e protagoniste ed impegnate solo in "provocazioni" contro compagni) e di come, pur in assenza di aperte rivendicazioni, fosse presente l'ammiccamento e il compiacimento ogni qualvolta un avversario politico "scivolasse" rompendosi la testa o una sede, un'abitazione o un locale pubblico frequentato da persone di opposta tendenza politica andasse a fuoco o saltasse in aria.

D'altro canto, scendendo su un piano per così dire pratico è stato acquisito agli atti, su richiesta proprio di un difensore, un campione di circa 150 episodi fra le centinaia di aggressioni avvenute a Milano nel periodo 1972 - 1975. È sufficiente sfogliare qualcuno dei rapporti giudiziari (e purtroppo qualcuna delle cartelle cliniche) per rendersi conto di come un'intera pagina della storia della nostra città sia stata dimenticata e rimossa.

7. Tutte le aggressioni da parte dei gruppi di estrema sinistra sono caratterizzate dalla medesima "ritualità" e cioè il circondare in gruppo la vittima isolata e presa di sorpresa e calarle più volte sulla testa grosse chiavi inglesi.

L'esito di numerose aggressioni (precedenti o coeve all'episodio Ramelli) è a dir poco drammatico in quanto la vittima, lasciata esanime con fratture al capo e spesso in altre parti del corpo, riporta lesioni gravissime e sovente con conseguenze permanenti.

Emerge certamente dagli atti del presente procedimento come la maggior parte di tali aggressioni non sia attribuibile ad Avanguardia Operaia, ma piuttosto all'"efficiente" servizio d'ordine del Movimento Studentesco, seguito poi dai famigerati CAF (Comitati Anti Fascisti) e a quello di Lotta Continua (molti dei cui militanti, non a caso, passeranno in blocco alle varie formazioni armate), organizzazioni queste che, insieme ad Avanguardia Operaia, gestivano a Milano la campagna dell'"antifascismo militante".

Non può tuttavia essere taciuto come gli attuali imputati abbiano quantomeno sottovalutato la portata della loro scelta e ntrando a far parte, proprio in quel momento storico, di un servizio d'ordine e abbiano comunque accettato con leggerezza i possibili esiti traumatici (quantomeno come cooperazione al cagionamento di lesioni gravissime e dolorose) che tale militanza poteva comportare.

Essi infatti, ben attenti certamente alla vita politica della città, non potevano non sapere, anche solo attraverso la lettura della cronaca quotidiana, quale tipo di "impegno" finiva per essere loro richiesto.

Nessuno degli aggressori di Ramelli si sognò di chiedere maggiori spiegazioni sulla persona che essi si accingevano ad aggredire, fra l'altro un perfetto sconosciuto, tanto da rendersi necessario visionare una fotografia per individuarlo e non rischiare di scambiarlo con qualcun altro.

Perdipiù non solo era sconosciuta la vittima, ma nessuno degli imputati era stato fisicamente aggredito o anche solo minacciato da persone di destra della zona, per cui quanto essi si accingevano strumentalmente a compiere costituiva più che una scelta razionale un autentico atto gratuito.

Ed è proprio questo il punto.

Si nota da parte degli imputati che hanno ammesso in tutto e in parte le loro responsabilità obiettive, al di là di lacune o reticenze sempre possibili, la difficoltà di spiegare, prima di tutto a se stessi, perchè persone estranee sostanzialmente ad una pratica di violenza contro le persone e perdipiù studenti universitari, intellettualmente preparati, si siano trovati in otto, nove, o più, il 13 marzo 1975 alle ore 13.00 sotto l'abitazione di uno sconosciuto ragazzo di 18 anni, ad aspettarlo in un pacifico rientro a casa e a percuoterlo ripetutamente sul capo fino a sfondargli il cranio. Perchè alcuni di essi, insieme a cinquanta o più compagni, si ritrovino un anno dopo quel tragico giorno a distruggere un bar a gestione familiare e a picchiare con analoga modalità tutti gli avventori che capitavano a tiro.

Nessuno ha saputo spiegare perchè, nell'un caso e nell'altro, i fatti non siano avvenuti a caldo, magari dopo zuffe o battibecchi tra studenti sempre e dovunque perfettamente possibili, ma invece a danno di persone sconosciute e con preparazione e stile perfettamente militari. Nessuno ha saputo spiegare perchè, nell'un caso e nell'altro, le vittime della "lezione" non siano state semplicemente prese a sberle...

8. Il lancio della campagna dell'"antifascismo militante" soddisfa anche un'esigenza di carattere, per così dire, psicologico. Da anni sono attive squadre di servizio d'ordine (prevalentemente del Movimento Stdentesco) allenate ed affiatate. Venuta meno la conflittualità con le forze dell'ordine durante le manifestazioni di piazza, il noto spirito di conservazione e di autoriproduzione delle strutture "militari" in senso ampio, rende difficile scioglierle: va quindi benissimo, per mantenerle in vita, la caccia al giovane di destra, peraltro già inaugurata con buoni risultati negli anni precedenti.

Quale sia stato il livello di aggressività e di organizzazione dei vari servizi d'ordine intorno al 1975 è facilmente desumibile dai fatti avvenuti attorno alla sede del MSI di via Mancini il 17 aprile 1975; dopo aver già colpito una decina di obiettivi tutte le squadre convergono su via Mancini, travolgendo la colonna di polizia posta a difesa della sede (si conteranno una ventina di feriti tra i militari) e distruggendone completamente gli automezzi.

Le fotografie sequestrate nel corso del procedimento (e peraltro già pubblicate da vari giornali), che raffigurano l'attacco dei servizi d'ordine di Lotta Continua ed Avanguardia Operaia, ben raffigurano il livello di organizzazione raggiunto.

Ovviamente tale campagna gode del costante appoggio dei quotidiani delle varie organizzazioni, in cui vengono esaltate le azioni più significative.

Con l'emergere delle formazioni terroristiche (in cui confluiranno tanti militanti di servizio d'ordine, in particolare di Lotta Continua) finisce l'"antifascismo militante". Solo nella nostra città lascia sul terreno almeno un morto e decine di persone lese in modo gravissimo, centinaia di persone aggredite ed umiliate.

Lo stesso Enrico Galmozzi, già militante di Lotta Continua e poi di Prima Linea, condannato per l'uccisione del consigliere missino Pedenovi, dissociato ma non pentito, ricorderà nel corso della sua difesa in dibattimento che nel 1975/76 a Milano "anche chi non aveva pistole, tentava di ammazzarli (i fascisti) con le chiavi inglesi e a volte ci riusciva ... era quasi una pratica comune. Quando non venivano ammazzati ... c'è gente che è rimasta sulla carrozzina".

9. L'ordinamento costituzionale ha fra i suoi principi fondamentali quello della libera espressione e propaganda delle diverse idee e posizioni politiche, e la concreta estrinsecazione di ciò si configura nella possibilità di tutti i partiti, in piena libertà, di concorrere su un piano di parità alle competizioni elettorali e di essere presenti nei vari organismi rappresentativi.

Come spiegato, la campagna nell'ambito della quale sono stati commessi i fatti ascritti agli imputati, aveva come obiettivo specifico la concreta eliminazione dal gioco politico di un partito, l'impedimento dell'attività politica e l'intimidazione nei confronti di chi ne propagandava le idee, l'attacco ai comizi, la distruzione delle sedi, l'espulsione dagli organismi rappresentativi, tutto ciò coniugando iniziative legali e pubbliche con azioni violente ed illegali.

Non è quindi fuori luogo ritenere che in tal modo, anche al di là di una precisa coscienza dei singoli falsata da fattori emotivi, si realizzasse un obiettivo attacco all'ordinamento costituzionale, il cui corretto funzionamento viene a cessare nel momento in cui, in un certo luogo, cessa o si cerca di far venire meno il principio della pari dignità delle forze politiche e dei suoi esponenti.

10. A prescindere dalle responsabilità dei singoli militanti, soprattutto subalterni, che hanno compiuto singole azioni, probabilmente senza essere pienamente consapevoli del quadro complessivo, è certo cheAvanguardia Operaia si sia impegnata in tale campagna, utilizzando il suo servizio d'ordine ed approntando un vasto ed articolato lavoro di schedatura ed informazione centralizzato poi a livelli ristretti ed ignoti ai singoli militanti.

Il momento centrale di tale impegno coincide col 1974; in quell'epoca Avanguardia Operaia aveva un servizio d'ordine ancora molto informale, tanto che, come riferito da moltissimi imputati, non era stato in grado di difendersi da gruppi rivali della nuova sinistra e molti militanti di A.O. erano stati feriti in piazza Fontana a Milano durante un'aggressione del più organizzato Movimento Studentesco.

Dopo tali fatti, sia in generale sia a Città Studi, il servizio d'ordine si ristruttura e, venute meno le contese con gruppi rivali, partecipa alla campagna "antifascista", accelerando nel contempo il lavoro di schedatura ed aumentando le proprie capacità di intervento.

Di tale lavoro è rimasta traccia indelebile (...) in viale Bligny (...) È sufficiente una lettura del verbale di sequestro per rendersi conto della capillarità e metodicità del lavoro e dell'individuazione, in innumerevoli schede ed appunti, di persone, sedi e bar come possibili obiettivi.

È un lavoro strettamente collegato a quanto poi si sarebbe effettivamente realizzato, anche con riferimento agli episodi direttamente oggetto del presente procedimento e all'ambiente in cui sono avvenuti. Infatti:

- si rinvengono numerose fotografie dei funerali di Sergio Ramelli con ingrandimenti delle persone presenti;

- si rinvengono schede e indicazioni su amici di Ramelli, cui era stata sottratta l'agendina e sulle perquisizioni ai danni di studenti di destra del Molinari ad opera di amici degli "schedatori";

- si rinvengono indicazioni sul bar Porto di Classe e sui suoi frequentatori.

È evidente allora, e ben lo sanno i dirigenti del servizio d'ordine del tempo, che quanto avveniva non avveniva a caso, ma faceva parte di una indicazione politica generale e preordinata.

Non è un caso che proprio al Politecnico, nell'armadietto di Franco Donati, responsabile del servizio d'ordine di Città Studi prima di Grassi e di Di Domenico, siano state trovate schedature e documentazioni analoghe a quelle che saranno poi rinvenute in viale Bligny e costituenti certamente un frammento di tale documentazione complessiva.

Ciò è un'ulteriore conferma del fatto che erano proprio i dirigenti del servizio d'ordine ad avere una visione complessiva e a gestire le varie iniziative.

11. Ma la conferma più chiara della programmazione dall'alto dei vari "interventi" deriva dagli atti del procedimento contro Sorrentino GiuseppeCampi Aurelio ed altri, acquisiti in originale al presente procedimento.

Nell'ambito di tale procedimento, a seguito del rinvenimento di documenti a Firenze e a Milano alcuni esponenti di A.O. fra cui Sorrentino Giuseppe, responsabile della sede centrale di via Vetere Milano, furono imputati di associazione sovversiva e successivamente prosciolti in istruttoria.

Non essendo tuttavia dubbia l'attribuibilità del materiale rinvenuto all'organizzazione e ai suoi esponenti, tali documenti costituiscono un dato storico di cui è possibile l'interpretazione in realtà solo oggi, alla luce di quanto emerso nel presente procedimento.

Infatti il 26 febbraio 1974 a Firenze, nell'autovettura di un militante di rilievo di A.O. vengono rinvenuti, oltre a documenti personali, due stampati uno dei quali di 25 fogli complessivi intitolato "Note per la formazione di unità operative plotoni" e uno di 11 fogli, riservato ai dirigenti delle sezioni e ai componenti del centro nazionale relativo alle "Indicazioni per le misure di vigilanza ordinaria da applicare immediatamente e in permanenza" e alle "Norme e misure da adottare tassativamente in caso di azione clandestina totale".

Se il secondo documento è di scarso rilievo riferendosi certamente al comportamento necessario in caso di un colpo di stato (ed essendo quindi caratterizzato in termini esclusivamente difensivi), il primo documento è invece di estremo interesse in quanto concerne esclusivamente le indicazioni per la riorganizzazione del servizio d'ordine denominato appunto "unità operativa plotone".

In sintesi, e rimandando al documento per una attenta lettura, si danno indicazioni in merito a come l'unità operativa deve affrontare le forze dell'ordine, e cioè facendo riferimento sempre al responsabile o al vice-responsabile del servizio d'ordine, usando tattiche di cuneo e avvolgimento sprangando senza uccidere (perchè un poliziotto è pur sempre qualcosa di diverso da un fascista), attaccando le jeep con bottiglie incendiarie e raccomandando che il responsabile sia durante lo scontro sempre sulla linea della prima fila.

Passando ai fascisti si spiega che se tra di loro "scappa il morto non è poi così grave come se il morto fosse un poliziotto", che è necessario isolarli per colpire meglio "battendo con estrema ferocia e cattiveria" grazie ad un esercizio continuo e che uno degli obiettivi principali è l'attacco a punti di ritrovo di fascisti come bar.

In questi ultimi casi l'attacco può essere all'esterno o all'interno, è necessaria la divisione in più nuclei, bisogna essere molto coordinati nel colpire, molto mobili e rapidi, studiare le vie di fuga, lavarsi da eventuali macchie di sangue e lasciare le chiavi inglesi in tombini dopo l'azione in caso di necessità.

Nel caso di cattura di fascisti isolati prima devono essere sottratti i documenti e poi devono essere colpiti. Anche in questo caso il responsabile deve essere presente per evitare confusione.

Si danno poi spiegazioni, anche con disegni, sulla formazione del plotone, sulla sua dotazione (bulloni, chiavi inglesi, molotov), sulla presenza di staffette, fotografi e servizi d'infermeria.

Si tratta il problema dell'allenamento fisico, necessario per imparare a muoversi, correre e sprangare.

Si parla delle staffette che devono conoscere il territorio e gli spostamenti dell'avversario e tenere i rapporti fra il responsabile del singolo plotone e il responsabile centrale.

Si parla poi delle caratteristiche politiche e psicofisiche dei compagni, specificando ad esempio che l'abbigliamento deve essere curato con una certa attenzione per non essere notati e che in particolare le staffette non devono essere identificabili.

Nella seconda parte si affronta il problema di una eventuale azione politica clandestina, raccomandando in particolare la riservatezza e il rispetto della centralizzazione dell'organizzazione.

12. Un documento di tale genere è frutto certamente di una elaborazione e discussione ai livelli più alti dell'organizzazione in quel periodo.

Ne è conferma il fatto che il mese successivo, ed esattamente il 15 marzo 1974, nella sede centrale di A.O. in via Vetere 3 a Milano, oltre a documentazione riservata delle forze armate, viene sequestrato un quaderno tipo mini-pocket in cui, oltre ad appunti in merito a riunioni, attacchinaggi e sottoscrizioni, vi sono sei facciate fitte di appunti scritti a mano.

In tali appunti sono annotati i medesimi concetti riportati più ampiamente nel documento sequestrato a Firenze e concernenti i medesimi argomenti: opportunità di muoversi in squadre coordinate da un responsabile, uso di staffette per seguire gli spostamenti della polizia o avvistare i fascisti, modalità di attacco alle jeep (in particolare la prima della colonna) del tutto identici a quelli più ampiamente spiegati nel documento, servizio di infermeria e così via.

Anche in tali appunti (oltre ad indicare l'uso della chiave inglese 36) si raccomanda che il poliziotto isolato deve essere picchiato ma non "steso", mentre i fascisti devono essere "stesi".

Le indicazioni contenute nel documento (che certamente circola fra pochi e viene spiegato a voce ai militanti nei suoi contenuti essenziali) si realizzano integralmente e tutte emergono con chiarezza nel corso del presente procedimento: la struttura centralizzata, i responsabili, le squadre, la dotazione, le staffette, l'allenamento, l'abbigliamento necessario e così via.

Si realizzano, con matematica precisione, gli assalti ai bar (l'irruzione al bar Porto di Classe avviene con le precise modalità indicate nel documento sulle unità operative plotoni) e si realizza purtroppo lo sprangamento a morte dell'avversario politico, evento che, come profeticamente osservato, non deve destare molte preoccupazioni.

13. Dalle prime indagini risultava:

- che due erano gli aggressori che avevano picchiato con tubi di ferro (più esattamente, come poi emerso, chiavi inglesi) il Ramelli 
- che una delle due persone aveva una sciarpa bianca 
- che si trattava di due ragazzi giovani, sui 18 - 20 anni 
- che gli aggressori, in tutto otto o dieci, dopo aver lasciato a terra il Ramelli, si erano diretti a piedi verso via Arnò, in direzione di Largo Murani.

Essi sono stati inseguiti per un lungo tratto da un coraggioso passante, De Martini Ernesto, il quale li aveva persi di vista solo in via Venezian, in Città Studi.

Sul marciapiede ove il Ramelli era stato colpito, all'altezza di via Paladini numero 15, era rimasta una larga chiazza di sangue.

14. Dalle dichiarazioni sostanzialmente concordi degli imputati (...) si può così riassumere lo svolgimento dei fatti:

- nel corso del 1974 il servizio d'ordine di A.O. sino ad allora piuttosto debole, si era ristrutturato promuovendo altresì sul piano operativo, unitamente ai più cospicui servizi d'ordine degli altri gruppi, la campagna dell'"antifascismo militante" (in altri termini l'aggressione, ovunque fosse possibile, delle persone aderenti o simpatizzanti per la destra politica e la distruzione delle sedi e dei ritrovi da esse presuntivamente frequentate).

Tali aggressioni erano per lo più precedute da scritte o cartelli minacciosi nei vari quartieri e da intimidazioni o espulsioni dalle scuole frequentate dalle persone individuate.

La struttura più forte del servizio d'ordine di A.O. (divisa in zone territoriali e coordinata a livello cittadino) era costituita dalle squadre di Città Studi, zona ove la presenza politica dell'organizzazione era tradizionalmente più cospicua, al contrario delle facoltà umanistiche ove predominava il Movimento Studentesco.

A Città Studi esisteva una squadra di servizio d'ordine ad Agraria, attiva e numerosa, una squadra a Fisica, una squadra a Medicina e una squadra più modesta ad Ingegneria.

A partire dall'autunno 1974 la squadra di Medicina si era rafforzata dandosi una struttura stabile di dieci elementi, ma non aveva che scarsa o nulla esperienza come tale in materia di "antifascismo".

Tale squadra era composta da Cavallari (che ne era responsabile), Costa (che stava subentrando a Cavallari proprio nei giorni dell'aggressione a Ramelli), Ferrari BravoCastelliMontinariScazza,CostantinoBelpiede e Cremonese.

Sergio Ramelli era conosciuto nella zona e all'Istituto Molinari come "fascista" (e per tale motivo costretto ad abbandonare l'Istituto) e gli erano attribuiti fatti di violenza (di cui peraltro non vi è alcuna prova nè nei rapporti di polizia, nè nelle dichiarazioni degli imputati) nei confronti di avversari politici e anche furti di motorini ai danni dei "compagni" (ugualmente mai specificati).

15. Dell'azione contro Ramelli si comincia a parlare un paio di settimane prima del 13 marzo 1975. Roberto Grassi, già studente del Molinari, conoscente personale del Ramelli e personaggio molto rilevante inAvanguardia Operaia ed in particolare nel servizio d'ordine, comunica a Costa che incaricata dell'azione è la nuova e non ancora sperimentata squadra di Medicina.

È invece il Di Domenico a comunicare a Cavallari (il quale è ancora responsabile della squadra di Medicina, anche se tale responsabilità sta per passare a Costa) la decisione di incaricare la squadra di Medicina di "andare a menare un fascio".

Cavallari chiede tuttavia, e ottiene, dal Di Domenico di essere esentato.

Ciò sia in quanto proprio con il Di Domenico e un altro studente di A.O. (il già citato Di Puma Roberto del Molinari) era stato arrestato in zona per un'aggressione contro due simpatizzanti di destra alla fine del 1973, sia in quanto poco tempo prima, a Città Studi dinanzi alla facoltà di Agraria, con altri e su indicazione del Di Domenico, aveva aggredito con una chiave inglese uno studente universitario di destra, ma nel corso di tale azione si era dimostrato poco idoneo lasciandosi prendere dal panico.

Di Domenico, che è ben al corrente di entrambi gli episodi e del loro esito, dà il suo assenso alla richiesta di Cavallari di essere esentato.

Nei giorni precedenti l'azione tutti i membri della squadra di Medicina vengono informati su iniziativa di CostaGrassi e nell'ambito di riunioni e discussioni informali delle squadre di Medicina.

Tutti i membri della squadra, pur senza entusiasmo, danno il loro consenso all'azione in ossequio ai principi vigenti all'interno del servizio d'ordine.

Si può aggiungere che un rifiuto del resto apparirebbe comprensibile solo leggendo la vicenda con gli occhi di oggi. Infatti è sufficiente sfogliare i quotidiani dell'epoca per rendersi conto che, in piena campagna di "antifascismo militante" con aggressioni a giovani di destra quasi giornaliere, un rifiuto avrebbe significato autoescludersi dal servizio d'ordine e mancare di "solidarietà" verso l'organizzazione che aveva ammesso nel servizio d'ordine proprio i compagni politicamente più "coscienti".

Grassi fornisce alla squadra una fotografia di Ramelli dato che il giovane era totalmente sconosciuto: la fotografia è quella che ritrae il Ramelli quasi certamente durante l'episodio del 13 gennaio 1975 mentre viene costretto a cancellare le scritte fasciste sui muri del Molinari con un pennello in mano.

Tutti, o comunque la maggior parte dei membri della squadra, si recano a vedere il luogo ove Ramelli è solito posteggiare il motorino (via Paladini, poco oltre l'incrocio con via Amadeo) e a prendere confidenza con la zona.

Viene stabilito un giorno per l'aggressione e tutta la squadra viene convocata: resta escluso Francesco Cremonese che in quei giorni ha un'influenza; resta escluso dalla spedizione anche il Cavallari per i motivi già citati, che peraltro non vengono contestati dai compagni.

Il compito di caposquadra per quel giorno viene assunto da Costa: è il più giovane della squadra essendo matricola, ma milita da diverso tempo in Avanguardia Operaia.

Come caposquadra Costa ha il compito di aggredire il Ramelli affiancato da Ferrari Bravo, più vecchio e persona che appare "pacata".

Il gruppo, con la presenza di Grassi alla partenza, si ritrova all'ora stabilita presso il nuovo settore didattico in via Celoria, ove vengono distribuite, quasi certamente fra tutti, le chiavi inglesi ed alcuni tondini, cioè sbarre di ferro.

Il compito di quelli che non dovranno aggredire materialmente Ramelli è quello di copertura, cioè l'attestarsi presso tutti gli angoli dell'incrocio tra via Amadeo, via Paladini, via Arnò al fine di segnalare l'eventuale presenza di forze dell'ordine, contrastare una eventuale presenza di amici del Ramelli o di passanti e di impedire che il ragazzo, fuggendo in direzione dell'incrocio molto frequentato, possa sottrarsi alla "lezione".

Molto probabilmente staffette rimaste sconosciute segnalano il momento in cui Ramelli si appresta a tornare verso casa dal bar che è solito frequentare o quantomeno ne segnalano la presenza quel giorno poco prima dell'ora di pranzo, consentendo di individuare, in un margine di pochi minuti, l'ora del rientro a casa e quindi consentendo di evitare che una sosta troppo prolungata del gruppo nei pressi dell'incrocio possa destare sospetti.

Al momento dell'aggressione, mentre il ragazzo sta per agganciare il motorino ad un palo di via Paladini posto contro il muro, vengono usate chiavi inglesi di tipo non precisato ma certamente di notevoli dimensioni.

Forse al Costa ed al Ferrari Bravo, da ultimo, quale picchiatore, si aggiunge Costantino, ma la circostanza rimane improbabile sia per la conformazione dei luoghi (vi è una certa distanza fra l'angolo presso cui si trova Costantino e lo stretto punto del marciapiede in cui viene colpito Ramelli), sia perchè smentita dai testimoni oculari che hanno modo di notare, da punti diversi, le fasi essenziali dell'aggressione dai primi colpi sino alla fuga di due persone da via Paladini.

Tutto il gruppo rientra a Città Studi, ove vengono pulite e riposte le chiavi inglesi, dotazione della squadra.

 

 

 

L'Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) - Servire il Popolo


L'Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) nasce a Roma il 4 ottobre del 1968. Si trasformerà il 15 aprile 1972 in Partito Comunista (marxista-leninista) Italiano.

Il suo capo incontrastato e dispotico, venerato e onnipotente, era Aldo Brandirali.

Tra i suoi fondatori ed elementi di spicco vi sono Enzo TodeschiniAngelo ArvatiSergio Bonriposi ed Enzo Lo Giudice. I gruppi di provenienza: Falcemartello e il Movimento studentesco romano.

Oltre ad ispirarsi al pensiero di Mao Tse-tung, l'Unione ha rappresentato per lunghi anni la linea più coerentemente stalinista praticata in Italia.

La sua reggenza si basava sul cosiddetto "centralismo democratico", simpatico eufemismo per dire che pochi decidevano e tutti gli altri dovevano ubbidire. Il centro decisionale (rappresentato per lo più dal Brandirali) non per niente si autodefiniva il "nucleo d'acciaio" che doveva temprarsi "al fuoco della lotta di classe" per poter condurre L'Unione alla fondazione del "grande, glorioso e giusto" Partito Comunista (m-l) Italiano.

Già da queste frasi si ha un esempio di quale fosse il grado di follia collettiva che animava i componenti di questo gruppo. Ma per capire meglio le loro idee, le loro intenzioni, vero humus per le successive tragiche esperienze terroristiche di tanti giovani plagiati da questi cattivi maestri, offriamo un saggio sconvolgente: il Programma del governo rivoluzionario che avrebbe dovuto prendere il potere in Italia.

Segue poi un documento non meno significativo, dal titolo Sulla via dell'insurrezione armata popolare.

Entrambi i pezzi sono tratti da "Il programma rivoluzionario del Partito", pubblicato nel libro "Progetto di tesi per il Congresso di fondazione del P.C.(m.-l.)I.", Edizioni Servire il Popolo, 1972.

 


Programma del governo rivoluzionario

"Il Governo Rivoluzionario applicherà immediatamente le seguenti misure socialiste:

I - Espropriazione degli sfruttatori

Art. 1 - Le fabbriche, le banche, le proprietà fondiarie ed immobiliari, le ricchezze dei gran signori, sono immediatamente socializzate senza alcun indennizzo. Ciò vale anche per le proprietà dei monopoli stranieri. Le bande armate dei capitalisti e ogni intervento militare esterno, in appoggio ai capitalisti, saranno duramente repressi dal popolo italiano.

Art. 2 - Chiunque sfrutta e si arricchisce da parassita sul lavoro degli altri uomini commette reato, e se persiste nel reato verrà messo in galera.

Art. 3 - Coloro che si sono macchiati di gravi crimini contro il popolo, anche nel passato, vengono rinchiusi e puniti dai tribunali del popolo. Tutti gli sfruttatori che non hanno commesso gravi crimini andranno a lavorare, saranno privati dei diritti politici sino alla rieducazione, e saranno vigilati dalla milizia popolare.

Art. 4 - Tutti coloro che si trovano nelle carceri per condanne della borghesia sono giudicati nuovamente dal tribunale popolare. I prigionieri politici liberati, i prigionieri colpevoli per mancanza di educazione popolare saranno rieducati e recuperati il più possibile alla società. I debiti del popolo verso i capitalisti sono annullati, gli istituti di pegno restituiranno gli oggetti al popolo. Tutti i codici della borghesia sono annullati, nuove leggi semplici, volte a colpire la proprietà dei ricchi e a difendere gli interessi collettivi, saranno emanate dal Governo Rivoluzionario.

II - Organizzazione del nuovo Stato

Art. 5 - La Repubblica Popolare d'Italia è fondata sui Consigli. essi rappresentano, ai vari livelli, l'autorità della dittatura del proletariato. Nel sistema dei Consigli si organizza l'apparato statale. Il popolo, riunito in Consigli, deciderà in ogni momento quali misure deve adottare l'amministrazione pubblica. Il Parlamento, gli enti Locali, sono sciolti. Il sistema delle elezioni per lista è annullato. Il popolo voterà ogni giorno per misure concrete e verificherà ogni giorno l'insieme dei delegati inviati alla direzione centrale dello Stato.

Art. 6 - Sono proibiti tutti gli stipendi che siano superiori al doppio del salario medio operaio. Questo vale anche per ministri, funzionari, tecnici e scienziati.

Art. 7 - Tutti gli impiegati e i funzionari, che facevano parte dell'immenso apparato burocratico dell'ex-stato capitalista, potranno partecipare a corsi professionali e lavorare nella produzione, reinserendosi socialmente. Gli impiegati e i funzionari del nuovo Stato saranno scelti fra il proletariato, ridotti al minimo necessario, per una amministrazione semplice e giusta.

Art. 8 - Polizia ed esercito borghesi sono disciolti. Le basi NATO sono espulse dall'Italia. L'Italia creerà le sue alleanze di pace con i popoli in lotta contro l'imperialismo. L'esercito per aggredire e opprimere è sconfitto, nasce l'esercito della difesa della libertà e dei diritti del popolo. La forza armata del popolo sarà realizzata con la milizia operaia e con l'Esercito Rosso, in cui non vi saranno gradi e la vita militare sarà gestita dai Consigli dei soldati.

Art. 9 - I tribunali del popolo, eletti dai Consigli, sono gli organi della giustizia. Per gravi crimini, come il furto nell'amministrazione pubblica e altri, che determinano gravi sofferenze nel popolo, è ripristinata la pena di morte.

III - Ripresa delle energie produttive

Art. 10 - Gli operai, mediante i Consigli di fabbrica, i contadini con i Consigli di zona, e così tutti i produttori dirigeranno la produzione locale secondo i piani centrali del Governo Rivoluzionario. Eliminata l'accumulazione privata, proibita la produzione delle merci di lusso, eliminato il sistema con cui lo stato dava ai capitalisti il redditto sottratto con le tasse al popolo, tutto il reddito della produzione tornerà al popolo, in forma di salari e di opere sociali dello Stato proletario; sparisce così lo sfruttamento.

Art. 11 - La disoccupazione è un crimine. Tutte le forze di lavoro devono essere impegnate per costruire ciò che serve al popolo. I salari sono fissati a partire dal salario minimo eguale per tutti adeguato al costo della vita. Le capacità di lavoro saranno valutate dalle assemblee stesse dei lavoratori. Scompare così la corruzione e l'autorità vile di falsi tecnici e dei leccapiedi dei padroni.

Art. 12 - Facciamo appello perchè tutti i lavoratori italiani che si trovano all'estero ritornino in patria. In tutte le zone povere del paese, gli emigranti e i disoccupati si organizzeranno in squadre di lavoro e riceveranno adeguati aiuti statali per costruire fabbriche, strade e case in queste zone.

Art. 13 - Si fa appello a tutti i contadini emigrati in città: se vogliono tornare a lavorare la terra, si riuniranno in cooperative e riceveranno dallo Stato macchine e concimi. Lo Stato garantisce l'acquisto di tutti i prodotti che non sono di fabbisogno locale, e fisserà prezzi validi per tutto il paese per i prodotti agricoli.

IV - Per il benessere del popolo

Art. 14 - È proibito trarre guadagno affittando case. Gli appartamenti non abitati e quelli spaziosi dei ricchi vengono assegnati ai lavoratori. Lo Stato si impegna a costruire con ritmo accelerato case decenti e confortevoli per tutto il popolo.

Art. 15 - I prezzi che i negozianti devono praticare sono quelli fissati dal Governo Rivoluzionario. I Consigli del popolo organizzeranno la vigilanza per la genuinità dei prodotti.

Art. 16 - Tutto il popolo ha diritto a cure mediche, agli ospedali e ai medicinali necessari. Tutta l'assistenza medica viene resa gratuita. Squadre mediche condurranno inchieste per prevenire le malattie.

Art. 17 - Tutti i giovani devono organizzarsi in forme di vita collettiva, le nuove generazioni saranno immesse a fondo nella vita collettiva. I giovani saranno educati al lavoro dallo Stato, che per tutti farà sviluppare le doti migliori. I giovani, a turno, gireranno tutto il paese in squadre di produzione, così conosceranno il popolo e i suoi problemi.

Art. 18 - Le donne avranno asili, mense, lavanderie sociali; squadre di esse vi lavoreranno mentre le altre potranno occuparsi altrove, realizzando la liberazione dal peso della schiavitù domestica.

Art. 19 - I vecchi pensionati saranno completamente mantenuti dallo Stato, che li impegnerà in attività utili e ne garantirà il riposo e le cure più affettuose.

V - Cultura - Sport - Morale - Religione

Art. 20 - In tutte le città e paesi devono essere costruite le Case del popolo, quali centri sociali di ampia vita ricreativa, culturale e di riunione.

Art. 21 - Le scuole sono completamente gratuite e tutti gli studenti sono mantenuti dallo Stato. Ogni scuola sarà gestita da studenti e insegnanti; l'insegnamento sarà liberato dagli inganni della borghesia, e gli insegnanti impareranno attraverso il dibattito aperto con gli studenti e con le squadre operaie addette all'educazione scolastica. Chiunque ne avrà le capacità potrà continuare gli studi su proposta dell'assemblea della scuola, senza limiti nel livello di studio.

Art. 22 - Lo sport sarà un aspetto fondamentale della vita del popolo; ovunque, capillarmente sorgeranno centri sportivi e tutti svilupperanno la loro attitudine. Le competizioni sono sottratte alle scommesse e all'agonismo egoistico. Sorgerà la competizione delle capacità reali espresse da tutto il popolo.

Art. 23 - I matrimoni si realizzeranno davanti al popolo, discutendo con esso sui motivi dell'unione. La donna avrà diritti eguali all'uomo. Il divorzio dovrà realizzarsi in tutti i casi in cui è dimostrata la mancanza di unità. L'amore si baserà sull'educazione all'altruismo e fiorirà splendidamente ovunque.

Art. 24 - TV e radio diventano del popolo, i giornali borghesi sono proibiti. La stampa popolare sarà molto capillare, sino ai giornali murali che tutti potranno scrivere e affiggere. Tutto il materiale pornografico, i testi calunniosi e falsi, la propaganda amorale e corruttrice della borghesia, saranno eliminati e la loro produzione proibita.

Art. 25 - Tutti i cattolici, se desiderano continuare ad andare in chiesa, potranno farlo. Il Governo Rivoluzionario eliminerà lo stipendio statale ai preti, che dovranno andare a lavorare come tutti gli altri. Inoltre sono requisiti tutti i beni della chiesa e dello stato Vaticano. Il Partito e lo Stato faranno educazione e propaganda in senso comunista e per controbattere la propaganda religiosa.

Art. 26 - Tutti gli intellettuali e gli artisti, i tecnici e gli scenziati, che stanno sinceramente dalla parte del popolo, saranno aiutati a rieducarsi vivendo in mezzo al popolo e ascoltando la critica popolare alle loro opere. I centri rieducativi e culturali saranno aperti ad ogni opera e il popolo svilupperà la critica di massa. Gli usi e i costumi del popolo, la cultura nazionale, il legame fra cultura e problemi del popolo si realizzeranno a fondo sotto la direzione della classe operaia.

 


Per cinquant'anni il Movimento Sociale Italiano è stato criminalizzato per la sua contiguità ideale con il Fascismo. Per cinquant'anni una sola esperienza storica è stata emarginata dal consesso civile, quella italo - tedesca degli anni '20 - '40.

E nelle nostre Università intanto allignavano i seguaci di Mao, che diffondevano impunemente le bestialità sopra riportate.

Il comunismo russo di Stalin e quello cinese di Mao (e quello di tutti i loro epigoni di minor peso) sono stati la vera nefandezza del novecento !

Tali sciagurati regimi hanno perpetrato i loro crimini per decenni e decenni, fino ai nostri giorni.

Chi si ispirava loro ha seminato anche in Italia lutti e terrore. L'Unione dei Comunisti Italiani (marxisti - leninisti) ha avuto gran parte di colpa in questa opera nefasta, come testimonia anche il brano che riproduciamo qui sotto.

 


Sulla via dell'insurrezione armata popolare

Il principio della lotta armata per la presa del potere è un principio universale della via rivoluzionaria . Questo principio è risultato dall'analisi concreta della questione dei rapporti fra popolo e stato. Il braccio armato dello stato è contro il popolo quando lo stato è nelle mani di una classe di minoranza.

Il braccio armato della borghesia ha ripetutamente attaccato il popolo, scagliandosi contro ogni sua protesta, contro ogni espressione della volontà popolare della maggioranza.

La via elettorale, indicata dai riformisti, non solo nasconde il fatto che il popolo non può esprimere a maggioranza la sua volontà unitaria in una forma elettorale indiretta e astratta, ma nasconde anche il fatto che ogni risultato elettorale poco confacente al regime è annullato dalla pressione violenta del braccio armato dello stato.

La lotta armata delle masse popolari viene resa necessaria dalla stessa borghesia, che fa fronte alla lotta popolare contraria alla reazione con il rafforzamento del braccio armato e con il finanziamento delle squadre armate fasciste. Ogni minimo desiderio del popolo infine potrà avere sione solo spezzando la resistenza armata della borghesia con la forza armata del popolo.

Si tratta di dare vita alla lotta armata quando ciò corrisponde alla coscienza della maggioranza delle masse lavoratrici. Questo significa che la lotta armata si differenzia per le sue forme a seconda dei rapporti che vi sono fra popolo e stato borghese nei vari paesi.

In un paese di capitalismo sviluppato, che sia parlamentare o a regime fascista e social-fascista, sino al momento della crisi rivoluzionaria generalizzata, la mediazione politica prevale sulla repressione armata, e quindi il popolo vedrà l'esigenza della lotta armata solo nel momento della crisi rivoluzionaria. Per questo in tali paesi la lotta armata appare nel processo culminante della lotta rivoluzionaria, assumendo la forma della insurrezione popolare.

Quindi, in Italia, la lotta armata si rende possibile e necessaria nello scontro decisivo, in cui le lotte di massa si sono trasformate in lotte per il potere e la borghesia le fronteggia con la repressione armata. Questo vuol dire che la via della lotta armata adeguata all'Italia è la via insurrezionale dell'armamento delle masse nel punto culminante della lotta per il potere politico. L'azione del Partito sarà adeguata al compito di guidare su questa via le masse popolari.

 

 

 

 

I Gruppi di Azione Partigiana

 


Il 16 aprile del 1970 una voce si inserì nel canale audio del Telegiornale e, captata in alcune zone d'Italia, proclamò:

"Attenzione! Sono i GAP che vi parlano! È nata una nuova resistenza di massa, è nata la ribellione operaia al padrone e allo Stato dei padroni ... sono nate le Brigate Rosse e si sono ricostituite le brigate GAP ... le brigate partigiane, i lavoratori, i braccianti, gli studenti rivoluzionari marceranno compatti e uniti fino alla vittoria!"

Animatore dei ricostituiti GAP, si seppe dopo, era l'editore Giangiacomo Feltrinelli, nome di battaglia Osvaldo, che all'epoca aveva 47 anni.

Ricco di famiglia aveva messo ingegno e capitali al servizio dell'eversione internazionale, di cui era frequentatore abituale.

Due anni dopo, il 15 marzo del 1972, morì a causa dello scoppio di alcuni candelotti di dinamite con i quali voleva far saltare un traliccio dell'alta tensione a Segrate.

I suoi funerali furono l'occasione per inscenare una manifestazione di protesta contro i servizi segreti che avrebbero organizzato l'esecuzione.

Più tardi in un covo delle Brigate Rosse fu trovato un nastro registrato con il racconto del complice che quella notte si trovava con Feltrinelli, il quale confermava come la morte dell'editore avvenne proprio a causa dell'esplosione della dinamite con la quale intendeva far saltare il traliccio.

La tecnica del "depistaggio di massa" era stata inaugurata.

Nella sua attività clandestina il nome di Feltrinelli si affianca a quello degli assassini genovesi del Gruppo XXII ottobre.

Questo gruppo (che prese il nome semplicemente dalla sua data di fondazione, il 22 ottobre del 1970) fu fondato da Mario Rossi e da Augusto Viel.

Organizzò uno dei primi sequestri a scopo di autofinanziamento, quello di Sergio Gadolla, il quale, dopo il pagamento del riscatto fu rilasciato.

il 26 marzo del 1971 Rossi e Viel condussero l'assalto a un portavalori. Costui, Alessandro Floris, oppose resistenza e fu barbaramente assassinato. Una celebre foto immortalò l'attimo in cui il Rossi sparava al povero portavalori ormai a terra.

Giangiacomo Feltrinelli, che era in contatto con il Gruppo XXII ottobre, nascose Augusto Viel a Milano dopo l'assassinio e di qui lo aiutò ad espatriare a Praga.

In Cecoslovacchia avevano trovato rifugio diversi terroristi di sinistra, tra cui Giulio Paggio e Paolo Finardi della Volante Rossa.

Il nome dato da Feltrinelli alla sua formazione terroristica, i G.A.P., è il medesimo che durante la resistenza si erano dati i gruppi di partigiani che agivano nelle grandi città del Nord.

Uno dei più noti gappisti fu Giovanni Pesce, nome di battaglia Visone, dal paese in cui nacque, Visone d'Asti, nel 1918.

Costui nel 1967 pubblicò per la "Giangiacomo Feltrinelli Editore" un volume dal titolo "Senza Tregua - La Guerra dei GAP".

In questa opera, ristampata nel 1973 e nel 1995, Pesce racconta, facendosene vanto, l'interminabile sequenza di attentati, assassinii, sabotaggi e ferimenti che egli e i suoi compagni compirono a Torino e a Milano dal 1943 al 1945.

Ciò che più impressiona nella narrazione è la consapevolezza che i gappisti avevano di operare su iniziativa personale, e talvolta addirittura in contrasto con le stesse direttive impartite da coloro che si erano autoproclamati capi della resistenza.

"Ho preso la mia decisione. Agirò senza chiedere l'ordine al comando" (pag.46 dell'edizione del 1995).

"Nel pomeriggio si riunirà il Comitato di liberazione piemontese ... Approverà o sconfesserà la mia iniziativa ?" (pag.48)

Neppure le rappresaglie che i tedeschi compivano in esecuzione delle feroci leggi di guerra costituivano remora per i gappisti. Anzi, Pesce afferma che essi le provocavano volutamente, al fine di mostrare la brutalità del nemico!

"Le rappresaglie non possono fermare la nostra azione" (pag.45).

"La nostra legge ... è di non dar tregua al nemico. Di non farsi intimidire dal nemico. È l'unico modo per mantenere in efficienza le nostre forze e far capire al nemico l'inutilità della sua ferocia" (pag.260).

Solo leggendo queste pagine e andando a ristudiarsi tutta la storia dell'eversione di sinistra nei vari paesi del mondo e nei vari decenni di questo secolo e del precedente si può comprendere appieno la genesi e il significato del terrorismo che ha insanguinato l'Italia negli anni '70 e '80.

 

 

 

Le Brigate Rosse

 


Con la storia delle Brigate Rosse si entra nel vivo dei crimini pepetrati dai terroristi di sinistra in Italia negli anni a noi più vicini.

Le Brigate Rosse, famose per essere state esorcizzate con il termine "sedicenti" (finchè ciò è stato possibile) dai mass-media su disposizione del P.C.I., rappresentano non solo il primo vero gruppo terroristico organizzato del ventennio '70-'80, ma anche quello più esteso e più pericoloso.

A sostegno di tale affermazione riproduciamo una tabella apparsa nel libro "Il Terrorismo di Sinistra" di Donatella della Porta (Ed. Il Mulino, 1990).

 

L'autrice del medesimo saggio indica l'origine delle B.R. nel Collettivo politico metropolitano, un gruppo politico nato a Milano sul finire degli anni '60, e nei G.A.P. di Giangiacomo Feltrinelli.

In realtà si potrebbe andare più indietro e trovare la vera origine del movimento in due diverse città del nord: Trento, dove Renato Curcio e Mara Cagol frequentavano la Facoltà di Sociologia (il primo fu anche una specie di assistente del preside, Francesco Alberoni) e Reggio Emilia, città natale di Alberto Franceschini, fondatore insieme ai primi due del movimento terroristico.

Quest'ultimo descrive molto bene l'origine dell'organizzazione in un libro dal titolo "Mara, Renato e io", edito nel 1988 da Mondadori (ristampa del 1991 negli Oscar).

In particolare pone grande rilievo nel collegamento che le nascenti Brigate Rosse volevano avere, ed in realtà avevano, con il movimento partigiano degli anni 1943-45.

Il legame, ideale ma anche concreto, viene chiamato il "filo rosso", e proprio questo è il titolo del primo capitolo del libro di Franceschini.

Vi si racconta della "consegna delle armi", allorquando un vecchio partigiano affidò a Franceschini la pistola Browning sottratta a un ufficiale tedesco ucciso in montagna. Con questa arma furono commessi i primi delitti delle B.R.

Vi si racconta del 25 aprile trascorso in Valsesia con i reduci della Brigata di Cino Moscatelli, e dell'incontro con il "grande Cino".

Vi si racconta di come un vero gappista si unì al primo nucleo terrorista. Ma lasciamo la parola a Franceschini:

"Il "filo rosso" che ci legava ai partigiani divenne ancora più solido quando uno di loro, lo chiamerò Sergio, venne con noi, a Milano. Aveva una quarantina d'anni: durante la Resistenza, da ragazzo, era stato nei Gap, quelli storici, e aveva voglia di ricominciare. Non ci pensammo molto a farlo diventare un "regolare" delle Br: un gappista vero ci avrebbe insegnato molte cose. Sergio, ci dicevamo, aveva sparato veramente al nemico, avrebbe saputo aiutarci e consigliarci."

Qual è la vera identità di "Sergio"? Perchè Franceschini non la rivela? Noi chiediamo che non venga concessa nessuna clemenza e nessun indulto a chi ancora si ostina a mantenere celata l'identità di chi si è macchiato di delitti.

Giovanni Pesce, capo dei Gap, non potrebbe aiutare lo Stato ad individuare i complici delle B.R.?

Vediamo ora di riassumere i principali delitti commessi dalle Brigate Rosse.

 


21 ottobre 1982

Nel corso di una rapina in banca a Torino il brigatista Marcello Ghiringhelli uccide a sangue freddo due guardie giurate della Mondialpol.

Il 27 dicembre 1998 Ghiringhelli, condannato all'ergastolo, non rientra nel carcere di Novara dopo un permesso "premio" di 3 giorni. Il regime cattocomunista premia gli assassini, e come ricompensa questi evadono !

 

 

 

Prima Linea

 


Nel dicembre del 1976 l'organizzazione terroristica Prima Linea rivendica per la prima volta due attentati, uno all'Associazione Industriali di Monza e uno al Corriere della Sera.

Nell'aprile 1977 si tiene a Scandicci, in una canonica, una riunione di fondazione di Prima Linea. Vi partecipano decine di ex militanti di Lotta Continua e di Senza tregua (da notare l'omonimia di questo gruppo con il titolo del libro di Giovanni Pesce già ricordato parlando dei G.A.P.).

Da allora fino al 1979 è tutto un susseguirsi si attentati, rapine, agguati, assassinii, commessi spesso da personaggi non entrati in clandestinità, ma dalla doppia vita. Studenti, impiegati o operai e al tempo stesso spietati assassini.

Tanto la follia comunista ha stravolto le menti di migliaia di giovani!

Poi, il 29 gennaio 1979, terroristi di Prima Linea uccidono il giudice Emilio Alessandrini, di 37 anni. Comandava il gruppo degli assassini Marco Donat Cattin, figlio dell'ex ministro democristiano Carlo Donat Cattin (famoso per le sue posizioni "socialmente avanzate").

Da allora tutta Prima Linea entra in clandestinità, non vi è più posto per i dilettanti dell'omicidio, occorrono veri professionisti.

Donat Cattin prende parte anche all'assassinio del vigile urbano Bartolomeo Mana e del barista Carmine Civitate.

Poi si pentirà. Non prima peraltro di essere riparato in Francia con l'aiuto di qualche componente governativa. Arrestato, condannato a soli 11 anni ne sconta -in qualità di collaboratore - ancora meno, per l'esattezza 7. Muore un anno dopo la liberazione, in un incidente d'auto.

Altri delitti commessi da Prima Linea:

21 settembre 1979 a Torino, viene colpito l'ingegner Carlo Ghiglieno, responsabile della pianificazione alla FIAT:

11 dicembre 1979 ancora a Torino, uomini di Prima Linea irrompono nell'Istituto di amministrazione aziendale Valletta e gambizzano cinque insegnanti e cinque studenti.

Nel 1980 vengono uccisi il giudice Guido Galli, il dirigente dell'ICMESA Paolo Paoletti, l'autonomo William Vaccher, accusato di essere un confidente della polizia.

2 maggio 1980 a Roma uomini di Prima Linea sparano all'architetto Sergio Lenci, progettista della nuova ala del carcere di Rebibbia.

Inserito da Cristina Genna Blogger

 

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