Alle basi del rinomatissimo Monte Fuji, in Giappone, si distende un complesso d’alberi di 35 km² chiamato Aokigahara, generalmente soprannominato «Mare d’alberi» (樹海, Jukai):
la vegetazione è difatti cresciuta sui resti d’una eruzione vulcanica avvenuta nell’864 dopo Cristo, motivo per il quale l’aspetto, da una certa altezza, rasenta la somiglianza con l’oceano. La stessa struttura labirintica della foresta non permette il passaggio di forte correnti ventose o la stabilizzazione della vita animale, rendendo il posto estremamente quieto e privo di fauna d’alcun tipo.
In alcuni punti i rami s’intrecciano in maniera talmente intricata da impedire persino la penetrazione dei raggi solari: anche nelle ore meridiane non è raro trovare zone completamente avvolte nell’oscurità. Nei mesi invernali la fitta nebbia proveniente dal Monte Fuji si riversa tra gli alberi di Aokigahra negando quasi interamente la visibilità; durante quel periodo ai visitatori viene proibito l’accesso a molti dei sentieri presenti sul luogo a causa del forte rischio di perdere la via. A questo pericolo si deve aggiungere la presenza di numerosi fossi di media grandezza. I pochi coraggiosi che decidono d’addentrarsi son costretti ad usare il metodo del “filo d’Arianna“: con l’ausilio di lunghi nastri colorati segnano la strada percorsa per poi poter rintracciare velocemente l’uscita in caso di necessità. Le poche grotte presenti sono totalmente inaccessibili essendo sempre ricoperte di ghiaccio e speroni di roccia lavica taglienti.
Una foresta del genere sembrerebbe provenire da un romanzo ottocentesco, da leggende cinquecentesche d’alchimia. Se ne potrebbero immaginare infinite d’origini, mentre si stenterebbe ad immaginarlo come luogo realmente esistente. Eppure a questa commistione d’aspetti caliginosi nel tempo s’è aggiunta anche una componente macabra e demonologica. La natura di per sé misteriosa e tenebrosa dell’Aokigahara portò diverse famiglie nei secoli passati (già in epoca Ashikaga, 1500-1600) a scegliero come territorio ove abbandonare i membri più anziani al loro destino ultimo. Questo «rituale», seppur infinitamente crudele per la nostra visione, veniva messo in atto con l’esplicito consenso di quest’ultimi, i quali volontariamente si lasciavano morire nella foresta per non pesare economicamente alla famiglia di provenienza. Questa pratica veniva chiamata ubasute (姥捨て). Lo stesso poteva accadere in complessi familiari estremamente poveri (contadini, soprattutto) con il sacrificio estremo d’uno dei componenti, anche dei più giovani. In effetti nella tradizione giapponese, derivante da una visione stoica e fatalista dell’esistenza, la concezione della vita come “soffio passeggero” è inevitabilmente accostata alla consapevolezza d’una inesorabile fine che deve essere affrontata:ca taglienti.
"Non importa quanto giovani o forti si possa essere, l’ora della morte arriva prima di quando ci si aspetti. Si tratta di un miracolo straordinario a cui sei sfuggito fino a questo giorno, ma credi di avere anche la più breve tregua in cui rilassarti?" (Yoshida Kenkō, 徒然草 – “Saggi sull’ozio”, 1332)
Alla considerazione filosofica ed esistenziale della questione ben presto, come facilmente immaginabile, s’accostarono anche numerose storie di spiriti e demoni provenienti da credenze popolari. Dopotutto non poteva accader altrimenti per una foresta dove le persone «andavano a morire». Nel posto si credeva risiedessero i Kodama (木魂), ovvero spiriti degli alberi che amavano imitare le voci dei defunti – gli arbusti non venivano abbattutti per non ricevere sfortune da parte di queste entità. Molti ritenevano che la zona fosse infestata dai Jubokko (樹木子): alberi malvagi capaci di catturare ignari passanti e succhiare il loro sangue per nutrirsi e rimanere sempreverdi. Altri invece erano convinti che l’Aokigahara fosse il regno di Binbou-gami (ビンボウガミ), il dio della povertà, proprio a motivo degli anziani ed i contadini che in quel luogo erano presenti a causa della povertà delle famiglie. Non mancavano naturalmente – e non mancano tutt’oggi – leggende riguardo la presenza di Yūrei (幽霊), i fantasmi di coloro che morirono precocemente o coloro che non conobbero sepoltura appropriata. Con la modernizzazione della nazione nipponica avvenuta in epoca Meiji (1870) ed il profondo rinnovamento dei costumi in linea con i modelli occidentali, queste tetre usanze e leggende, assieme a molte altre appartenenti a tradizioni antiche, vennero di fatto relegate nei libri di storia. Le stesse religioni autoctone subirono grandi cambiamenti dovuti in buona parte al contatto ed il confronto con le nuove provenienti dall’est e dall’ovest (Cristianesimo, nuove forme di Buddismo, Islam). La società giapponese aveva deciso d’aprirsi al modernismo: le storie di poltergeist, spiritelli et similia sembravano ormai eredità d’un passato lontano, le tradizioni andavano “aggiornate“. Ciò nonostante, la quiete nella foresta durò meno d’un secolo. I tentativi di demistificare l’aura tenebrosa che avvolgeva l’Aokigahara vennero celermente interrotti già nella metà del XX secolo alla luce delle notizie che si susseguivano giorno dopo giorno: decine di business men s’addentravano nel «Mare d’alberi» senza fare più ritorno. Come ad aggiungere ulteriore apprensione, nel 1960 lo scrittore Seicho Matsumoto pubblicò il romanzo “Black Sea of Trees” (“Il mare nero d’alberi”), ovvero la storia di due amanti che si toglievano la vita proprio nell’Aokigahara. Da allora il luogo divenne la meta preferita di tutti gli aspiranti suicidi del Giappone. A partire dal 1970 la percentuale di dispersi e morti divenne talmente alta che il governo decise d’effettuare delle “pulizie” annuali dei poveri corpi senza vita trovati impiccati o accasciati al suolo per tentare di ridar decoro alla zona. Tra il 1988 ed il 2003 il sempre crescente numero di suicidi arrivò a toccare anche le 100 unità l’anno – in molti addossarono la colpa al bestseller del 1993, “The Complete Suicide Manual” (“Il completo manuale del suicida”), che consigliava al lettore l’Aokigahara come zona perfetta per porre fine alla propria esistenza. Negli anni recenti la cifra ha oltrepassato di gran lunga i 100, arrivando a picchi di 250 tentativi nel 2010 (non tutti andati a buon fine); tuttavia v’è da considerare che ad oggi non si è sicuri della reale stima dei cadaveri presenti. La probabilità d’imbattersi in corpi putrefatti, scheletri, carcasse ancora appese alle corde e rimasugli di vario tipo è alquanto elevata, per non parlare del terribile fetore sprigionato dalle membra in decomposizione. Sembrerebbe quasi una traslazione delle incisioni di Gustave Doré riguardanti la selva dantesca dei suicidi nel mondo reale.
Un’ulteriore elemento che contribuisce a donare un’aspetto ancor più tetro e, per certi aspetti, misterioso all’intricato groviglio – come se non bastassero i morti – è la presenza di feticci voodoo appesi agli alberi e tavolette riportanti maledizioni contro la società, contro il lavoro, contro il governo, contro le tasse o qualsiasi altra entità che spinse queste povere anime al gesto estremo. Esattamente nel modo in cui l’inevitabilità delle storie sugli spiriti s’intrecciava alla natura tenebrosa del posto, oggi le componenti esoteriche sembrano essere una regolarità: sebbene l’uso di tavoletteper lanciare anatemi contro gli avversari era in uso già nel V secolo avanti Cristo, stupisce il profondo odio dimostrato nell’inveire contro i “pupazzi” voodoo – volti naturalmente a rappresentare colui o coloro da maledire – letteralmente inchiodati a testa in giù, a volte brutalmente seviziati. Anche se al presente non vi sono casi segnalati, potrei ipotizzare con buona sicurezza che il «Mare d’alberi» sia frequentato persino da soggetti dediti a rituali necromantici vista l’incredibile facilità d’entrare in possesso di resti umani e disporne a proprio piacimento. Alcuni spiritisti giapponesi credono che la struttura labirintica sia in realtà dovuta agli spiriti dei deceduti che, non trovando pace, modellano la conformazione degli alberi e dei rami per impedire ai visitatori d’uscirne; altri spiritisti consigliano d’evitare il posto visto il mastodontico carico d’energia negativa accumulata da secoli di sofferenze. Vi sono inoltre credenze popolari secondo le quali i corpi dei suicidi, essendo spirati in solitudine e senza degna sepoltura, di notte si destano e vagano senza meta alla ricerca di compagnia. In tempi recenti non sono mancati tentativi di spiegazioni scientifiche: una di queste afferma che nella zona ci sarebbe un giacimento di ferro talmente massiccio da guastare persino la più raffinata bussola, motivo per il quale molte persone si sarebbero perse nella foresta e sarebbero morte di stenti. Quel che rimane certo è l’elevatissimo numero di suicidi nel paese del Sol Levante, e l’Aokigahara ne è sicuramente il simbolo supremo. Dal 2009 la polizia locale, non riuscendo più a tenere la situazione sotto controllo, ha deciso di reclutare volontari per la ricerca di dispersi ed il trasporto dei cadaveri nelle stanze mortuarie a ridosso del bosco, onde evitare continue incurioni da parte di ladri in cerca d’oggetti preziosi lasciati dai deceduti. All’ingresso sono stati posizionati in aggiunta dei cartelli rivolti a coloro pronti al gesto estremo, con su scritto: “La tua vita è un prezioso dono ricevuto dai tuoi genitori” o “Per favore, rivolgiti alla polizia o ad un medico prima di commettere suicidio“. Inutile precisare che non hanno avuto alcun effetto. Eppure, così come un processo naturale ha dato forma al «Mare d’alberi», un analogo processo naturale potrebbe cancellarlo per sempre. Nel Gennaio del 2013 uno scienziato nipponico ha lanciato l’allarme: il Monte Fuji probabilmente erutterà in una data presente nei prossimi due anni (quindi entro il 2015). La predizione venne basata sull’alta pressione rilevata all’interno delle camere di magma del vulcano e sull’innalzamento delle acque del lago Saiko, forse dovuto allo scioglimento del ghiaccio causato dall’aumento di calore dello stesso magma. Un intervento provvidenziale o un ciclo storico?
Quando sei nel Giappone centrale, vedi ovunque il monte Fuji, è sempre all'orizzonte. Anche quando ti avvicini alla zona, quando ci arrivi col treno o in auto, hai questo presagio minaccioso. Poi, quando finalmente entri nella foresta, alle pendici della montagna, è molto silenziosa, tranquilla, spettrale" - "I giapponesi hanno un forte legame con la natura. Penso che molte persone vi siano entrate indecise. Avevano dei nastri per trovare la via del ritorno. C'è qualcosa in questa foresta che attrae. Visivamente è molto intensa, ma alla fine trovi sempre la borsa o la tenda di qualcuno. Sai che molte persone hanno passato molto tempo cercando di capire cosa fare delle loro vite. Gli agenti fanno una ricognizione annua e di solito vengono ritrovati tra i 70 e i 150 corpi. Ne trovano molti, e il numero aumenta negli anni.
Inserito da Cristina Genna Blogger
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