"Quattrocchi, eroe scomodo e dimenticato da dieci anni"

"Quattrocchi, eroe scomodo e dimenticato da dieci anni"

 

L'ex compagno di prigionia in Irak, dove Fabrizio fu ucciso dagli insorti nel 2004: "Ignorato dalla stessa patria a cui ha dedicato gli ultimi istanti di vita"

 
 

«Ammetterlo fa molto male eppure a dieci anni dal suo assassinio l'Italia s'è dimenticata di Fabrizio Quattrocchi. Gli hanno dedicato qualche piazza, ma poi tutto è finito lì.

 

Di Fabrizio non c'è più memoria. Nessuno sembra volerlo ricordare». Dieci anni dopo esser stato barbaramente trucidato in Irak, dieci anni dopo essersi strappato il bavaglio e aver urlato ai propri assassini “Vi mostro come muore un italiano”, Quattrocchi rischia di esser dimenticato dalla stessa patria a cui ha dedicato gli ultimi istanti della propria vita. Per il governo e le istituzioni italiane Fabrizio Quattrocchi è ormai un illustre sconosciuto. Un caduto scomodo e dimenticato. Un morto indegno d'esser ricordato. Come ricorda in quest'intervista al Giornale il suo compagno di prigionia Salvatore Stefio, oggi nessuna istituzione ricorderà Quattrocchi, assassinato il 14 aprile di dieci anni fa dopo esser caduto nelle mani di gruppo di insorti iracheni assieme a Maurizio Agliana e Umberto Cupertino e allo stesso Stefio. «Poco fa ho chiamato Maurizio Agliana che è in contatto con la sorella di Fabrizio e gli ho chiesto se sa di qualche manifestazione ufficiale per il decimo anniversario della morte. Anche secondo lui autorità e istituzioni non hanno organizzato nulla. Fa niente, ci siamo abituati. Lo ricorderemo io, Maurizio e Umberto Cupertino riunendoci con la sorella davanti alla tomba di famiglia a Genova. Sarà una cerimonia intima e privata. Del resto il mancato ricordo rientra nel clima di questo paese. Non è neppure una novità».

Eppure Quattrocchi è medaglia d'oro al valore civile decorato da Azeglio Ciampi.
«In Italia molti ci reputano solo mercenari interessati ai soldi. Penso sia un atteggiamento motivato politicamente».

La Corte d'Assise di Roma ha anche sentenziato che l'esecuzione non fu un atto di terrorismo.
«Lo so e ne sono rimasto indignato. Ancora non mi spiego come sia stato possibile pronunciare quella sentenza. Non trovo motivazioni logiche».

Cosa successe quel giorno?
«Non immaginavamo nulla. Erano passate 48 ore dalla cattura ed eravamo stati trasferiti in una seconda prigione. Eravamo seduti a terra in una stanza completamente vuota e spoglia con una finestra oscurata da una pesante tenda. Ci avevano già prelevato per interrogarci, quindi quando vennero a prenderlo non pensavamo volessero ucciderlo».

Qual è l'ultimo ricordo di Fabrizio?
«Ricordo il suo sorriso. Quando vennero a prenderlo lui si alzò e ci salutò con un sorriso. È l'ultima immagine di lui. Me la porterò dentro per sempre».

Quando capiste che era stato ucciso?
«Solo una volta libero appresi le circostanze della sua morte. Le raccontò chi fece arrivare all'intelligence le coordinate della nostra prigione. Gli altri ci avevano sempre detto di averlo rilasciato. Quando mi dissero di quell'ultima sua frase pronunciata davanti agli assassini non faticai a crederci. Una sola settimana con lui mi è bastata per capire di che pasta era fatto: generoso, pronto a sacrificarsi per quello in cui credeva».

Perché proprio lui?
«Me lo sono sempre chiesto. Lui non era stato né irruente, né provocatorio. Si comportò come tutti noi. Forse presero lui perché aveva il tesserino rilasciato dalle autorità americane mentre noi non avevamo ancora ritirato i nostri. Forse presero il primo che capitava perché avevano delle rivendicazioni politiche e volevano dimostrare di far sul serio».

Un misterioso Yussuf raccontò al «Sunday Times» di aver partecipato all'assassinio di Fabrizio. Pensa lo stiano ancora cercando?
«Durante il primo periodo della prigionia era sempre con noi. Parlava un discreto italiano e non era iracheno. Probabilmente veniva dal nord Africa e sembrava conoscere l'Italia. Abbiamo raccontato tutto ai carabinieri, ma non so se sia mai stato identificato. E non so se qualcuno lo stia cercando».

Ha mai guardato il filmato dell'uccisione?
«L'ho guardato e ho provato tanta rabbia, ma adesso è diverso. Ho deciso di trasformare quell'esperienza in qualcosa di utile. Organizzo corsi di sopravvivenza in cui insegno ad affrontare situazioni di prigionia simili a quelle provate in quei 58 giorni. È il mio modo per ricordare Fabrizio e donare un po' della sua memoria agli altri».

Vi faccio vedere come muore un italiano». La lezione di Fabrizio Quattrocchi che nessuno ha mai dimenticato

 
 
 
Dall'Italia. «Adesso vi faccio vedere come muore un italiano». Sono state queste le ultime parole di Fabrizio Quattrocchi, il contractor italiano rapito e poi ucciso in Iraq. Era il 14 aprile del 2004, esattamente dieci anni fa.

Davanti agli aguzzini pronti a freddarlo con un colpo alla nuca disse, distintamente e con voce ferma, «vi faccio vedere come muore un italiano». Furono le sue ultime parole. Poi, un attimo prima che il colpo partisse, in ginocchio in una buca che gli farà da fossa, con le mani legate e con gli occhi coperti da una kefiah che gli avvolgeva tutta la testa, ha chiesto di togliersi il cappuccio, per guardare negli occhi i suoi assassini. In pochi sapevano chi fosse Fabrizio Quattrocchi, l’italiano dal gesto coraggioso. «Vi faccio vedere come muore un italiano» fu il suo saluto al mondo, al suo Paese. Quelle parole, pronunciate nella sua lingua nonostante conoscesse bene l’inglese, sono rimaste impresse nella mente e nel cuore di chi le ha lette sulle prime pagine dei giornali, ascoltate nei titoli di apertura dei Tg. Parole che risuonano ancora oggi, a distanza di 10 anni. Era il 14 aprile del 2004 quando Fabrizio Quattrocchi è stato ucciso solo perché italiano, a 36 anni. Era stato rapito alcuni giorni prima dalle Brigate verdi di Maometto, un gruppo sconosciuto prima, insieme ai suoi colleghi, liberati dalle truppe americane dopo 58 giorni di prigionia, perché, così facendo, volevano far capire al nostro governo che solo accettando il ritiro dall'Iraq sarebbe stata garantita la salvezza degli altri. Il video dell'uccisione fu spedito alla tv del Qatar «Al Jazeera», che si è sempre rifiutata di mandarlo in onda sostenendo che le immagini contenute fossero «troppo cruenti». L’emittente si rifiutò di diffonderle nonostante avesse già trasmesso, ripetutamente, scene di vittime di guerra e filmati di esecuzioni.  

Quel video, seppur parziale, quell'uomo, oggi lo ricordano tutti. E se così non fosse, è sorella Graziella, in una bella intervista su Repubblica a raccontare (e ricordare a tutti) chi era anzi è Fabrizio Quattrocchi, l’uomo che ha dimostrato al mondo «come muore un italiano». «Dieci anni. Sembra un secolo e sembra ieri», rimanda una scritta accanto alla statua,  una copia della Nike di Samotracia, che gli hanno dedicato i familiari al cimitero di Staglieno a Genova. Eppure Graziella non ha bisogno di spostare le lancette indietro, per lei il tempo da allora è rimasto fermo. Come il ricordo di quei giorni. «Lo abbiamo saputo dalla televisione», afferma la donna su Repubblica. «Dicono che la Farnesina ci avesse avvertito, non è vero. Sono stati i giornalisti. Molto spettacolare. Senza pietà. Crudele».  Poi la domanda: Quante volte ha visto quel filmato? «Una – risponde Graziella- era lui, era Fabrizio. Sapeva che lo avrebbero ucciso, che l'Italia non avrebbe mai ritirato i soldati. Che era finita. Però voleva guardare in faccia i suoi carnefici. Un ragazzo leale che amava il suo Paese, fiero della sua italianità. Tutto qui, se vi basta».  È stato difficile uscire dalla sofferenza «I primi tre anni – racconta la donna- è stato come se fossimo morti con lui. Lo strazio del ritrovamento dei resti, il dolore quotidiano. Se siamo andati avanti è per le cose che ci ha lasciato». Ed è questo quello che più conta: far capire alla gente «la sua dignità, la coerenza. Vorrei che avesse un posto giusto nel ricordo di tutti. Quello di un vero italiano». 

Un italiano che è morto inginocchiato ma in piedi, prigioniero ma non sconfitto, legato ai polsi ma non nella sua dignità. Non per forza bisogna usare la parola eroe che tanto ha fatto discutere. Basta dire, semplicemente, che era Fabrizio Quattrocchi. 

 

p>Inserito da Cristina Genna Blogger

 

 

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